sabato 11 maggio 2013

Tributo unico su casa e rifiuti. La stangata arriverà in autunno

Gli approfondimenti tecnici su Imu e Cig dureranno una settimana. Giusto il tempo di permettere a Fabrizio Saccomanni di presenziare al G7 britannico, di tornare domani nell’abbazia toscana di Spineto per il ritiro di governo, e di ripartire in fretta e furia per Bruxelles, dove lunedì si terrà l’Eurogruppo e martedì l’Ecofin. Un tour de force che consentirà al ministro dell’Economia di annusare le prime reazioni internazionali, confrontarsi con il premier Enrico Letta e i colleghi di governo, e chiedere poi all’Europa il via libera definitivo, con tanto di rassicurazioni sulla chiusura della procedura d’infrazione a fine maggio.

Solo allora, mercoledì o giovedì, come confermano anche fonti di Palazzo Chigi, il decreto potrà vedere la luce. Ma il provvedimento sarà solo un primo passo, un mero rinvio che tecnicamente non richiede neanche copertura, in attesa di una riforma complessiva della tassazione sulla casa. L’impegno, come ha dichiarato lo stesso Saccomanni, è di trovare la quadra entro 100 giorni dal decreto di sospensione. Se ne parlerebbe, insomma, dopo l’estate. L’idea di massima, però, c’è già. Ed è la stessa che circola da un po’ di giorni nei corridoi di Via XX Settembre: accorpare tutto il carico fiscale sugli immobili in una super Tares che piomberà come una bomba in autunno sulla testa degli italiani.
A confermare l’ipotesi di lavoro è stato ieri il sottosegretario all’Economia. «L’Imu», ha detto Pier Paolo Baretta in un’intervista al Mattino, «si può anche sostituire con un’imposta che comprenda anche la Tares ed altri provvedimenti fiscali relativi alla casa». Il progetto più accreditato è quello di introdurre una service tax sul modello francese. Nome suggestivo che nasconde, però, mille insidie. La nuova tassa, infatti, incorporerebbe la Tares (la nuova imposta sui rifiuti e i servizi comunali che unifica Tarsu e Tia) e non sarebbe più destinata ai soli proprietari di casa, ma a tutti coloro che detengono o occupano a qualsiasi titolo un immobile o una superficie operativa. Il rischio per i contribuenti è che il conto complessivo non solo non diminuisca rispetto all’Imu, ma addirittura salga. L’Imposta su case e servizi (Ics) su cui sta ragionando il governo, infatti, potrà essere rimodulata nella sua progressività, cercando di alleggerire il peso sulle fasce più deboli, ma dovrebbe comunque portare nelle casse dello Stato sia il gettito dell’Imu (23,7 miliardi), sia quello di Tarsu e Tia (7 miliardi), sia quello aggiuntivo di un miliardo previsto dall’introduzione della Tares. Complessivamente, si tratterebbe di una mazzata devastante di circa 32 miliardi da versare nei pochi mesi che precedono il Natale. Se poi accadesse come con l’Imu, che il gettito previsto dal governo (21 miliardi) risulto inferiore ai soldi effettivamente usciti dalle tasche degli italiani (23,7 miliardi), l’inghippo sarebbe servito.

Di alternative, del resto, non ce ne sono molte, se i saldi devono restare invariati e se, come ha paventato qualche giorno fa la Corte dei Conti, potrebbe addirittura esserci un buco nel bilancio 2013 provocato dalle errate stime di gettito contenute nella legge di stabilità messa a punto dall’ex premier Mario Monti. La strada dello spostamento delle risorse è quella che il governo sta seguendo anche sulla Cig per recuperare gli 1,5 miliardi da mettere sul piatto. Si tratta di capire dove pescare, ma Saccomanni ha detto chiaramente che le risorse arriveranno da fondi già stanziati per altri interventi nell’ambito delle politiche su welfare e ammortizzatori sociali.
L’unica possibilità di aumentare i margini di manovra può arrivare dall’Europa. Di qui l’attenzione che il ministro dell’Economia sta riservando al dialogo con i partner europei a cui, con molta probabilità, sottoporrà anche le ipotesi sulla riforma dell’Imu. Lo stop alla procedura d’infrazione, come ha ribadito ancora una volta Saccomani durante l’intervista di giovedì sera a La7, permetterà al governo di tirare fuori dal bilancio una buona fetta delle spese in conto capitale per investimenti, a partire dalle risorse utilizzate per il cofinanziamento nazionale dei fondi europei. A quel punto il Tesoro potrebbe aumentare di una identica quota le voci di spesa senza mettere a rischio il pareggio di bilancio concordato con l’Europa. L’altra grande boccata d’ossigeno potrebbe arrivare dallo spread. Saccomanni ha già anticipato che il calo dei rendimenti dei titoli di Stato permetterà di correggere in positivo il Def. Secondo i calcoli di diverse banche e della stessa Bankitalia, una media di 100 punti in meno di spread, obiettivo raggiungibile se proseguirà l’attuale andamento, comporterebbe minori oneri sul debito pubblico per circa 3 miliardi. Un bottino che da solo potrebbe servire quasi ad azzerare l’Imu sulla prima casa (4 miliardi). Poi rimangono solo da trovare gli altri 25 miliardi circa che servirebbero per realizzare tutti gli impegni (dagli esodati, alla proroga per i precari della Pa, fino al congelamento dell’Iva, alla riduzione del cuneo fiscale e al reddito minimo) promessi da Letta nel discorso di insediamento.

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