martedì 28 maggio 2013

Pagano solo i debiti del Sud. E il Nord si ribella

Sale la tensione sulla questione settentrionale. Se il Nord è sull’orlo del baratro, i governatori vogliono che le tasse restino sul territorio. Dopo l’allarme lanciato in occasione dell’assemblea annuale dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, sul rischio di tracollo della parte produttiva del Paese, i presidenti delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto scendono in campo per chiedere che almeno il 75% dei tributi versati dai cittadini non finisca nelle casse dello Stato centrale per essere poi destinato al finanziamento della spesa pubblica generale o redistribuito alle Regioni del Sud.

 Roberto Maroni, Luca Zaia e Roberto Cota hanno inviato una lettera al premier ,Enrico Letta, e al vicepresidente del Consiglio, Angelino Alfano per proporre l’istituzione di un gruppo di lavoro tra le Regioni ed il governo al fine di procedere ad una complessiva revisione della fiscalità «sia nei suoi profili organizzativi che nei suoi contenuti, anche con l’obiettivo di superare l’attuale sistema di riscossione fondato sulle competenze di Equitalia».
La tesi dei tre governatori della Lega Nord è che l’appello del leader di Via dell’ Astronomia, Squinzi non solo vada condiviso e rilanciato sul versante imprenditoriale, ma debba essere anche l’occasione per «definire un nuovo sistema fiscale che garantisca a ciascuna Regione la possibilità di trattenere almeno il 75% del gettito tributario complessivo prodotto nel singolo territorio regionale». Il risultato, secondo Maroni, Cota e Zaia, sarebbe maggiore «equità» e maggiore «responsabilizzazione delle Regioni e delle Autonomie», con l’obiettivo di «spendere meno soldi pubblici e spenderli meglio».
E se la convinzione di fondo è che lo Stato centrale distribuisca male le risorse, ad alimentare le polemiche ci pensano anche i dati che iniziano ad arrivare dalla Cassa depositi e prestiti sui primi anticipi di cassa agli enti locali per saldare i debiti pregressi della Pubblica amministrazione.
Dei 40 miliardi complessivi, il decreto varato dal governo guidato dall’ex premier Monti, tra Regioni, sanità ed enti locali, ha sbloccato circa 14 miliardi di euro per il 2013 e 15,4 per il 2014.
Al di là del fatto che la cifra complessiva rapprsenta solo il 21% degli impegni di spesa (136,9) già iscritti nel bilancio dei Comuni e qualcosa di più rispetto allo stock complessivo dei debiti della Pa, il problema è la destinazione delle risorse.

L’86% della liquidità proveniente dalla Cdp ha infatti, secondo quanto riferisce il Sole 24 Ore preso la via delle regioni del Centro-Sud, lasciando quindi il Nord ha bocca quasi asciutta. La spiegazione è di natura prevalentemente tecnica. Gli anticipi sono infatti destinati agli enti locali dove la quota dei debiti supera la liquidità di cassa, con una priorità per le amministrazioni che devono saldare le fatture più vecchie. Il risultato, però, è paradossale. Con queste modalità di erogazione, infatti, le amministrazioni meno virtuose si trovano nella condizione di poter soddisfare le richieste delle imprese in maniera più rapida di quegli enti locali che hanno invece fatto più attenzione ai conti e agli impegni verso i fornitori dei servizi.
Le discrepanze appaiono evidenti già a livello complessivo dove a Lazio e Campania vengono assegnate rispettivamente il 18,2% e il 16,9% delle risorse previste dal decreto rispetto al 7,7% della Lombardia, l’11,1% del Piemonte e l’8,15 del Veneto. Ma è sul versante comunale che le erogazioni compiono un percorso vistosamente sbilanciato verso il Mezzogiorno.
In questo caso i municipi della Campania da soli si sono accaparrati un terzo dei fondi disponibili, seguiti da Lazio (20%) e Calabria (14%).
A fare la parte del leone è stato il Comune di Napoli che da solo aveva chiesto oltre 900 milioni di anticipi di cassa (ricevendone poi 593). Praticamente la metà dei 2 miliardi complessivamente assegnati ai municipi. Ma le maxi richieste hanno riguardato anche Reggio Calabria (300 milioni chiesti e 187,5 concessi) e Roma (557,6 milioni chiesti, 348,5 ottenuti). Nella parte alta della classifica c’è anche Torino (381,8 contro 238,6), mentre Milano neanche compare negli elenchi dei comuni che hanno presentato richiesta di anticipi alla Cassa depositi.

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