venerdì 24 maggio 2013

Squinzi vede l'Apocalisse: stiamo bruciando 50 anni

Fisco, riforme, innovazione, lavoro, ma soprattutto «crescita». Perché il Nord è «sull’orlo del baratro» e rischia di trascinare l’intero Paese «indietro di mezzo secolo». Giorgio Squinzi non usa mezzi termini per descrivere la crisi italiana. Parla di un’economia soffocata da tasse e burocrazia, strozzata dalla mancanza di credito (50 miliardi di prestiti in meno negli ultimi 18 mesi, come nel dopoguerra), azzoppata dall’assenza di modernizzazione e competitività.

 A differenza dei mesi scorsi, però, verso il governo non ci sono ultimatum né attacchi frontali, ma solo «un accorato appello». Il presidente di Confindustria, come spesso accade con un nuovo esecutivo, ha deciso di concedere ad Enrico Letta una temporanea apertura di credito. Una strategia di attesa e di collaborazione i cui margini sono, però, strettissimi. Perché il tempo è già scaduto e il governo in carica non è esattamente quello che servirebbe all’Italia. «Sul fronte della politica sembra siglata una tregua», osserva Squinzi durante l'assemblea annuale, che non è «quella solida, di cui l’Italia ha estremo bisogno», ma «considerato l’esito elettorale e la stagione di conflitti che abbiamo alle spalle», l’esecutivo delle larghe intese è comunque «un buon risultato».

Ora si tratta di verificare sul campo le sue capacità. «Abbiamo davanti a noi la necessità assoluta», sottolinea Squinzi di fronte a gran parte del governo, a partire da Letta, schierato in prima fila nell'Auditorium Parco della Musica di Roma, «di disegnare una nuova traiettoria di sviluppo per uscire dalla recessione qualificando la spesa pubblica, innovando le specializzazioni produttive, conquistando nuovi mercati». Quello che serve, incalza, è «un grande progetto che metta la produzione e il lavoro al primo posto degli interessi collettivi e nell’agenda delle scelte».
Industria e lavoro sono il filo rosso che percorre tutte le 28 cartelle della relazione del presidente di Confindustria. E sono, secondo Squinzi, i due «pilastri» su cui deve ruotare «l’azione di governo». Perché «produrre significa lavoro» e la mancanza di lavoro è «la madre di ogni male sociale». Per superare un mercato del lavoro «troppo vischioso e inefficiente» bisogna intervenire non con «inutili aggiustamenti marginali», ma in maniera «strutturale» sul costo, sulla produttività, sulle regole.

Quanto al fisco, accusa Squinzi, «non solo è punitivo e di intensità unica al mondo», ma anche «opaco, complicato e incerto». Insomma, quanto di «peggio si possa immaginare per un investitore». Pur nei ristretti limiti imposti dai conti pubblici, Confindustria ritiene che «il peso fiscale possa essere riequilibrato» per evitare che le tasse «vengano usate contro chi produce: imprese e lavoratori».
L’altra grande emergenza da affrontare, accanto al rilancio del Mezzogiorno, è la questione settentrionale. «Il Nord è sull’orlo di un baratro economico», dice Squinzi, «il motore di questo straordinario modello produttivo manda segnali di allarme che non possiamo lasciar cadere inascoltati, se si vuole che il nostro Paese, tutto, abbia un futuro».

Squinzi è convinto che il governo abbia «davanti a sè il tempo di attuare le politiche necessarie». I primi passi, però, sono stati in chiaroscuro. Bene il decreto sull’Imu, ma le «le risorse destinate a sostenere l’occupazione e la produttività non devono essere impiegate per altri fini», come è stato fatto per finanziare la Cig. Comunque, sintetizza il numero uno di Viale dell’Astronomia, «se questo sarà il governo della crescita, noi lo sosterremo con tutte le nostre forze». Il grido di dolore, almeno a parole, è stato prontamente raccolto. «Il compito è difficile, ma ce la metteremo tutta», promette Letta durante l’intervento in assemblea, spiegando che «per troppi anni la manifattura in Italia e in Europa è stata trascurata». Ora si volta pagina. «L’industria», ha assicurato il premier, «torna in cima alle priorità. Siamo dalla stessa parte».

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