Vuole rifondare il Pd, cambiare il Paese, scendere in campo per combattere l'illegalità e il discredito dell'Italia nel mondo. Nel frattempo, però, apre negozi senza le autorizzazioni, come fosse un furbetto qualsiasi. A nessuno, intendiamoci, verrebbe mai in mente di puntare il dito su Oscar Farinetti , ambasciatore riverito e celebrato del made in Italy culinario nel mondo, guru della nuova sinistra, grande elettore di Matteo Renzi. Se la notizia arriva dalla sua viva voce, però, non possiamo che prenderne atto.
«Dei 21 Eataly presenti in Italia, 7 o 8 li ho aperti senza licenza», ha detto ieri mattina l'imprenditore intervenendo alla trasmissione «L'aria che tira» su La7. La media è elevata. Stando alle parole del fondatore di Eataly, praticamente più di due terzi dei punti vendita italiani della catena è fuorilegge. Dietro la clamorosa ammissione c'è, ovviamente, il tentativo dell'imprenditore di lanciare un messaggio provocatorio contro i lacci e lacciuoli che imbrigliano l'economia. «La licenza», ha spiegato, «non me la davano per problemi burocratici, io ho aperto lo stesso ed ho invitato i sindaci all'inaugurazione. La rivoluzione dobbiamo farla noi ed è arrivato il momento di beccarci un po' di avvisi di garanzia».
Insomma, una disobbedienza civile in piena regola contro lo Stato invadente e vessatore, una provocazione anarco-capitalista. Roba da liberista doc, da militante dei Tea Party, da popolo delle partite Iva. Bene. Se non fosse che Farinetti proprio liberista non è. E definirlo una partita Iva schiacciata dalla burocrazia e dallo Stato appare un po' riduttivo. Il suo impero enogastronomico, controllato al 40% dal mondo delle Coop e al 60% dallo stesso fondatore, fattura circa 300 milioni di euro l'anno con sterminati (soprattutto quelli di Roma e New York) punti vendita in Italia, Stati Uniti, Giappone, che ospitano ogni giorno decine di migliaia di clienti e visitatori. Non si tratta, insomma, di un piccolo artigiano alle prese con la Pa che non paga i debiti e i troppi adempimenti fiscali. Un artigiano che, all'inaugurazione della sua bottega aperta senza licenza, con tutta probabilità si vedrebbe arrivare la Guardia di Finanza invece di un sindaco sorridente.
Quanto al liberismo, finora non è stata proprio una sua bandiera. Farinetti , figlio di un partigiano socialista nonché imprenditore (fu lui a fondare la catena Unieuro ereditata poi da Oscar), non ha mai nascosto la sua fede di sinistra. Oggi tifa platealmente per Renzi, di cui ha finanziato la campagna per le primarie, ma non disdegnerebbe un impegno in prima persona: si è già candidato per la poltrona di governatore del Piemonte nel 2015, promettendo, fra le altre cose, di voler difendere la sanità pubblica. Il suo pallino è la palingenesi del sistema Italia. Idea condivisa, tra gli altri, da Benigni, Saviano, Jovanotti, Barbara Spinelli, Michele Serra, con cui Farinetti ha firmato l'appello «Facciamolo», subito dopo il voto delle politiche. Manifesto in cui, tra le altre cose, si chiedeva al nuovo Parlamento di «voltare pagina dopo vent'anni di scandali, di malapolitica, di sperperi, di prepotenze, di illegalità, di discredito dell'Italia nel mondo».
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