martedì 27 settembre 2011

Semplificazioni all'italiana. Brunetta lapidato perché vuole applicare la legge e sburocratizzare i certificati antimafia

Guai, in Italia, a passare dalle parole ai fatti. Che la burocrazia sia un mostro da abbattere, una zavorra per la crescita e un onere improprio per cittadini e imprese nessuno lo mette in dubbio. Ma se qualcuno, come ha fatto ieri Renato Brunetta, si permette di indicare una via concreta, ecco che si scatena il finimondo.
A far scattare sull’attenti i professionisti dell’indignazione è stata la proposta del ministro della Funzione pubblica sulla “sburocratizzazione” dei certificati antimafia. Terreno scottante, ma strategico. Basta parlare con qualche imprenditore del Sud per rendersi conto di quante e quali peripezie debbano affrontare le aziende per ottenere il “bollino di onestà” dalle autorità. Che senso ha, si è chiesto Brunetta, costringere il cittadino a farsi dare un certificato dallo Stato da restituire poi allo Stato per lavorare con il settore pubblico?
L’idea, che vale principalmente per il Durc e per le certificazioni antimafia, è che i documenti rilasciati dalla Pa servano solo per i rapporti con i privati, mentre alle amministrazioni e ai gestori di pubblici servizi verrebbe lasciata la scelta fra acquisire d’ufficio le informazioni oppure accettare le autocertificazioni di cittadini e imprese.

Messa così, la proposta non sembra particolarmente scandalosa. Tale è però apparsa non solo all’opposizione, ma anche al ministro dell’Intero, Roberto Maroni, forse preoccupato di perdere i galloni conquistati nel corso degli ultimi anni con importanti operazioni di contrasto alla criminalità organizzata. «La certificazione», ha tuonato il titolare del Viminale, «non può essere modificata perché è uno strumento indispensabile per combattere le infiltrazioni malavitose negli appalti pubblici». Tanto più che «il governo», ha proseguito Maroni, «ha appena approvato il Codice delle leggi antimafia che ha riscritto la normativa sulla certificazione per renderla più rapida».
Scontato, a questo punto, il tiro al bersaglio dell’opposizione. «Se un indagato per mafia può fare il ministro perché mai le imprese dovrebbero farsi rilasciare la certificazione antimafia?», ironizza l’Idv Luigi Li Gotti. «Il certificato lo chiediamo al governo», è invece la battuta di Antonio Di Pietro, mentre il futurista Fabio Granata propone di «legalizzare la mafia». Per Pina Picierno del Pd, infine, «la proposta di Brunetta fa rotolare Falcone nella tomba». La ciliegina arriva dal procuratore antimafia Piero Grasso, anche lui convinto che il nuovo testo unico sia più che sufficiente.
La cosa curiosa è che mentre tutti danno, nella migliore delle ipotesi, del matto al ministro, nessuno si è andato a guardare il decreto sviluppo dello scorso maggio (70/2011), che all’articolo 4, comma 13, stabilisce «che le stazioni appaltanti pubbliche acquisiscono d’ufficio, anche in modalità telematica, a titolo gratuito ai sensi dell’articolo 43 comma 5 del Testo Unico sulla documentazione amministrativa la prescritta documentazione» antimafia.


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