martedì 27 settembre 2011

C’è sempre più puzza di recessione

Il Crb è crollato del 4,86%. Così come l’S&P Gsci. Mentre il DJ-Ubs ha chiuso in calo del 4,41%. Non siamo di fronte all’ennesima diavoleria dei mercati. O ad una nuova categoria di prodotti finanziari più imperscrutabile dei neutrini del Cern. Tutt’altro. Dietro quelle sigle bizzarre si nascondono le cose più reali e concrete del mondo: le materie prime. Ovvero oro, petrolio, argento, ma anche rame, stagno, cacao, granturco o caffè. Ed è proprio lì che gli analisti, nei periodi di burrasca finanziaria, puntano gli occhi per capire quanto e come la crisi stia sconfinando dalle sale operative di Borsa per sbarcare nell’economia reale.

L’esondazione, a quanto pare, sta superando i livelli di guardia. E molti, in barba all’annuncio del maxi piano salva euro da 3 mila miliardi sbandierato domenica dai “grandi” riuniti a Washington, iniziano ad intravedere lo spettro della recessione globale. C’è anche chi, come Credit Suisse, Hsbc e Goldman Sachs, getta acqua sul fuoco e assicura che i prezzi delle materie prime reggeranno il colpo. Sta di fatto, però, che le commodity stanno toccando livelli dimenticati da mesi. Nell’ultima seduta l’indice Jefferies Crb, un paniere composto da 19 futures (contratti che anticipano gli andamenti a medio termine) americani sulle principali materie prime, ha chiuso gli scambi in territorio negativo per la seconda giornata consecutiva a quota 307,24 punti, i minimi da dicembre scorso, con una flessione del 4,86%. Non è andata meglio all’indice DJ-Ubs, che raggruppa sempre 19 materie prime nei settori dell’energia, dei metalli preziosi, dei metalli industriali, del bestiame e dell’agricoltura. Le sue quotazioni a fine seduta si sono fermate a 147,21 punti, in calo del 4,41%. A trascinare verso il basso il DJ-Ubs sono stati principalmente i metalli industriali (-9,30%), il petrolio (-7,89%) e il comparto dei cereali (-6,16%). E giù è andato anche l’S&P Gsci Spot Index, che con una perdita del 4,86% si è collocato ai minimi da 10 mesi.
Tutti e tre gli indici nel pomeriggio di ieri hanno rialzato un po’ la testa e ridotto le perdite. Ma la situazione resta da allarme rosso. L’S&P Gsci la scorsa settimana ha perso il 21% dopo i massimi del mese di aprile. L’ultima volta che l’indice ha perso così tanto è stato nel 2008, quando si è scatenata la peggiore recessione planetaria dalla crisi del ’29.

A spaventare sono soprattutto gli andamenti dei metalli usati nelle industrie e nelle costruzioni, finora trainati dalle economie emergenti, a partire dalla Cina. I riflettori sono puntati principalmente sul rame, che nell’ultimo anno ha perso il 23,3% e in questi giorni ha ripreso a scendere. Con un picco negativo arrivato la scorsa settimana proprio dopo la notizia del terzo rallentamento consecutivo del manifatturiero cinese. Ma in picchiata sono anche il frumento e il mais, il caffè, lo zucchero e il cotone. Segno che la sfiducia sulla capacità dei Paesi più industrializzati di arginare la crisi sta iniziando a far pensare che il contraccolpo arriverà presto anche sui consumi dei giganti asiatici e delle economie più scalpitanti dell’America latina.
Discorso a parte meritano oro e petrolio, solitamente influenzati da un numero di fattori più ampio. Anche qui, però, le tensioni non sono mancate. Ieri l’oro è tornato sopra quota 1.600 dollari l’oncia dopo un crollo nei giorni scorsi di oltre 124 dollari. Anche il petrolio sembra essersi stabilizzato. Dopo aver chiuso, però, la peggiore settimana da agosto.


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