martedì 13 settembre 2011

«Basta soldi all’Italia». Lascia il tedesco della Bce


La solita favoletta dei motivi personali, questa volta, è servita a poco. Il clamoroso addio del capo economista della Bce, Juergen Stark, si è abbattuto su un’Europa con i nervi a fior di pelle con la violenza di un uragano. Le Borse, partite con il piede sbagliato sin dalla mattina, alla fine della giornata hanno mandato in fumo 157 miliardi. Con Milano che da sola ha perso 15,6 miliardi, chiudendo in ribasso del 4,93%. A picco pure Madrid (-4,44%), Francoforte (4,04%), Parigi (-3,6%) e Londra (-2,35%). Non è andata meglio all’euro, precipitato a 1,36 dollari, ai minimi dallo scorso marzo. Mentre lo spread tra Btp e bund è volato intorno a quota 370 punti.

A far tremare le fondamenta del Vecchio continente è l’idea che dietro l’uscita del banchiere tedesco ci sia lo zampino di Angela Merkel e la decisione della Germania di far saltare il tavolo della moneta unica. Tesi tutta da dimostrare, visto che verso la poltrona di Stark sembra si sia già incamminato il viceministro delle Finanze di Berlino, Joerg Asmussen, l’uomo che la Cancelliera aveva chiesto di piazzare in un posto di prestigio in Europa in cambio del via libera alla nomina di Mario Draghi alla guida della Bce.
D’altra parte, non può essere una coincidenza che la plateale decisione di Stark arrivi proprio all’indomani dell’affondo del presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, il quale, rispondendo alle critiche arrivate da Berlino sull’Eurotower trasformato in una bad bank per l’acquisto dei titoli “tossici” degli Stati in difficoltà, ha ricordato alla Merkel che la Banca europea in questi anni ha difeso l’euro meglio di quanto non abbia fatto la Germania in passato con il franco. Certo, sul tavolo c’è anche l’insofferenza personale di Stark, ex sottosegretario alle Finanze sotto Helmut Kohl, che nel corso della sua lunga carriera si è visto passare davanti prima la presidenza della Bundesbank e poi quella della Bce senza riuscire ad acciuffarne neanche una, e che ora con il rimescolamento delle poltrone previsto con l’arrivo di Draghi e del francese Xavier Musca (consigliere economico di al posto di Bini Smaghi avrebbe forse rischiato anche di perdere posizioni nel board di Francoforte.

Ma è difficile non vedere nell’annuncio arrivato ieri l’ennesimo round del duello che da mesi sta tenendo banco in Europa sulla gestione della crisi. Le dimissioni dell’economista 63enne scaturiscono direttamente dalle spaccature dei grandi Paesi europei rappresentati nel consiglio direttivo della Bce che ogni mese decide la politica monetaria. Con il gruppo dei falchi guidato dalla Germania contrario alla supplenza che l’Eurotower offre ai governi non solo fornendo liquidità illimitata alle banche, abbassando l’asticella sulle garanzie (sarebbe in preparazione un nuovo piano soft per gli istituti dipendenti dai suoi fondi d’emergenza) e partecipando ai prestiti ai Paesi in crisi, ma anche acquistandone direttamente i titoli di Stato (da maggio più di 130 miliardi). I tedeschi temono che l’istituto (che da un po’ di tempo non procede più all’unanimità) perda la sua indipendenza, finisca per monetizzare il debito pubblico e non riesca più a garantire la lotta all’inflazione.

Proprio il tema dell’acquisto dei titoli di Stato aveva già provocato, lo scorso aprile, le dimissioni del presidente della Bundesbank, Axel Weber. E sempre i bond pubblici, questa volta però spagnoli ed italiani, sarebbero stati la classica goccia che ha fatto traboccare la pazienza di Stark, che nel comitato esecutivo siede dal 2006 con la responsabilità delle analisi economiche e monetarie. L’economista, stando alle indiscrezioni, si sarebbe quasi sempre opposto, insieme al governatore della banca centrale tedesca, nelle votazioni sull’acquisto dei titoli da parte della Bce. La situazione delle ultime settimane, con la banca impegnata in particolare a smorzare le tensioni sui bond italiani alimentate dai continui stop and go sulla manovra bis, avrebbero fatto sbottare Stark, che di fronte alla prospettiva ventilata da Trichet di ulteriori misure a sostegno del nostro Paese ha deciso di sbattere la porta.
Imperscrutabile la reazione della Merkel, che si è limitata a ringraziare Stark per «il grande lavoro» svolto al servizio di quella «cultura della stabilità» a cui il governo tedesco «aderisce da sempre». Nessun commento da parte del futuro presidente Draghi, che da novembre dovrà lavorare non poco per ricucire la situazione nel board della Bce. Stark, il cui mandato scadeva nel 31 maggio 2014, resterà al suo posto fino a quando verrà nominato il suo successore, che, secondo la procedura, sarà nominato entro la fine dell’anno.


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