mercoledì 7 settembre 2011

Riforma pensioni al rallentatore. Donne a riposo a 65 anni nel 2026


Due anni. Le donne andranno in pensione come gli uomini (a 65 anni) nel 2026 e non più nel 2028. Di tutto quello che si poteva (e doveva) fare sul fronte previdenziale, questo è quanto il PdL è riuscito a strappare agli “amici” della Lega. L’ultima (e non è detto che sia quella definitiva) versione della manovra prevede un ulteriore anticipo della misura già contenuta nella prima manovra. Nel provvedimento approvato a luglio l’allineamento partiva dal 2020 per arrivare a regime nel 2032. Un iter assai morbido che l’emergenza di agosto ha costretto a riscrivere. Nella manovra bis la data di partenza dell’adeguamento era scesa al 2016, con traguardo previsto al 2028.


Ora, pensa che ti ripensa, pur di non presentarsi di fronte all’Europa a mani vuote sul capitolo pensioni, il governo sembra intenzionato a rosicchiare altri due anni ad una misura che per le donne del pubblico impiego va a regime già dal 2012. Il risultato è che il risparmio previste per l’allineamento di circa 3,9 miliardi l’anno partirà dal 2026 invece che dal 2028. Le stime per quell’anno parlano di 334mila donne in più al lavoro rispetto alla normativa attuale.
L’anticipo deciso ieri dell’aumento dell’età necessaria per la pensione di vecchiaia partirà nel 2014 con la stessa velocità prevista nelle precedenti versioni: il primo anno ci sarà un aumento di un mese, il secondo anno di due mesi, il terzo anno di tre e così via, fino al 2019, dove l’incremento sarà di sei mesi per arrivare a nove mesi nell’ultimo anno di allineamento.
Complessivamente, tenendo conto anche dell’aumento dell’età pensionabile in base al miglioramento delle aspettative di vita già previsto, nei primi quattro anni, secondo i calcoli dei tecnici, i risparmi dovrebbero essere crescenti ma comunque scarsi. Si tratta di circa 700 milioni complessivamente tra il 2015 e il 2017 per poi superare un miliardo l’anno dal 2018 e crescere rapidamente negli anni successivi.
Nel 2021, sempre secondo i calcoli degli esperti, l’impatto sui conti pubblici supererà i 2,3 miliardi, per salire nel 2022 a 2,7 miliardi e nel 2023 a 3,1 miliardi. Nel primo anno della misura, il 2014, non sono previsti risparmi.

 «Ci sarebbe voluto più coraggio. Il governo si sta comportando come il pugile bastonato che, barcollando, cerca di assestare qualche colpo incerto», commenta Roberto Occhiuto dell’Udc.  Ma che gli sforzi fatti dall’esecutivo siano poca cosa rispetto al progetto sollecitato da più parti di una riforma strutturale del sistema pensionistico è un’idea che trova sostenitori anche nelle file della maggioranza. E non solo tra i cosiddetti frondisti, che nelle scorse settimane hanno tentato un’impossibile opera di persuasione, soprattutto nei confronti della Lega. Chi da sempre invoca un intervento risolutivo sulla questione è Giuliano Cazzola. Di fronte alla mossa timida di Palazzo Chigi, l’ex sindacalista del Pdl si chiede «quale prezzo dovranno ancora pagare i risparmiatori e quanto ampio dovrà diventare lo spread tra i nostri titoli e quelli tedeschi, prima che il governo e la maggioranza si convincano a superare le resistenze ottuse in materia di pensioni». Per il vicepresidente della commissione Lavoro della Camera solo «una revisione delle norme riguardanti la vecchiaia delle donne e quelle attinenti all’anzianità, in particolare per il canale con 40 anni di contribuzione a prescindere dalla età anagrafica, può conferire alla manovra quelle risorse stabili e crescenti in grado di mettere in sicurezza il pareggio dopo il 2013».
Anche per Osvaldo Napoli, deputato del Pdl considerato molto vicino al premier Silvio Berlusconi, è convinto che il Pdl debba «verificare la disponibilità delle opposizioni riproponendo in Aula al Senato una riforma strutturale delle pensioni di anzianità», perché è questa la «misura più attesa dai mercati».
Sul fronte opposto, il passettino del governo è bastato a far saltare sulle barricate i sindacati, che dopo una giornata passata ad insultarsi a distanza (particolarmente acceso il battibeccho tra il segretario della Cgil, Susanna Camusso, e quello della Cisl, Raffaele Bonanni) in serata si sono trovati tutti d’accordo, compresa la Uil, nel bocciare il mini intervento sulle pensioni.


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