Mentre gli studenti di ogni ordine e grado mettono a ferro e fuoco le piazze italiane la Camera dà il via libera a quello che, piaccia o no, è il primo provvedimento organico di riforma dell’intero sistema universitario. Il principio alla base del ddl è che l’autonomia delle università deve essere coniugata con una forte responsabilità finanziaria, scientifica e didattica. Le università restano autonome ma risponderanno delle loro azioni. Se saranno gestite male riceveranno meno finanziamenti. Altri punti centrali riguardano la riforma delle modalità di reclutamento del personale e della governance delle università secondo criteri meritocratici e di trasparenza. Ecco le principali novità che gli atenei dovranno recepire negli statuti entro sei mesi dall’approvazione della legge.
Codice etico e dg. Il ddl prevede l’adozione di un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele. Alle università che assumeranno o gestiranno le risorse in maniera non trasparente saranno ridotti i finanziamenti del Ministero. Per i rettori sarà introdotto un limite massimo di 6 anni, inclusi quelli già trascorsi prima della riforma. Un rettore potrà rimanere in carica un solo mandato. Il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il cda ad avere la responsabilità chiara delle assunzioni e delle spese, anche delle sedi distaccate. Il cda non sarà elettivo ma fortemente responsabilizzato e competente, con il 40% di membri esterni. Il direttore generale avrà compiti di grande responsabilità e dovrà rispondere delle sue scelte, come un vero e proprio manager dell’ateneo.
Bilanci trasparenti. Prevista l’introduzione della contabilità economico-patrimoniale uniforme, secondo criteri nazionali concordati tra ministero dell’Università e Tesoro. Per gli atenei in dissesto finanziario è previsto il commissariamento. Le risorse saranno trasferite dal ministero in base alla qualità della ricerca e della didattica. Finisce l’era della distribuzione dei fondi a pioggia. Mentre i docenti avranno l’obbligo di certificare la presenza a lezione. Viene per la prima volta stabilito inoltre un riferimento uniforme per l’impegno dei professori a tempo pieno per il complesso delle attività didattiche, di ricerca e di gestione, fissato in 1.500 ore annue di cui almeno 350 destinate ad attività di docenza e servizio. Gli scatti di stipendio arriveranno solo per i professori migliori.
Gli studenti danno i voti. Gli studenti potranno valutare i professori e la valutazione sarà determinante per l’attribuzione dei fondi alle università da parte del ministero. Ci sarà la possibilità inoltre di unire o federare università vicine, anche in relazione a singoli settori di attività, di norma in ambito regionale, per abbattere costi e aumentare la qualità di didattica e ricerca. La riforma prevede inoltre una riduzione dei settori scientifico-disciplinari, dagli attuali 370 alla metà (consistenza minima di 50 ordinari per settore) e una riduzione molto forte delle facoltà che potranno essere al massimo 12 per ateneo per evitare la moltiplicazione di facoltà inutili o non richieste dal mondo del lavoro.
Largo ai giovani. Il ddl introduce l’abilitazione nazionale come condizione per l’accesso all’associazione e all’ordinariato. L’abilitazione è attribuita da una commissione nazionale sulla base di specifici parametri di qualità. I posti saranno poi attribuiti a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole università, cui potranno accedere solo gli abilitati. Le norme sono principalmente destinate a favorire la formazione e l’accesso dei giovani studiosi alla carriera accademica. Tra i punti salienti: revisione e semplificazione della struttura stipendiale del personale accademico per eliminare le penalizzazioni a danno dei docenti più giovani; revisione degli assegni di ricerca per introdurre maggiori tutele, con aumento degli importi; abolizione delle borse post-dottorali, sottopagate e senza diritti; nuova normativa sulla docenza a contratto: riforma del reclutamento.
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