martedì 21 dicembre 2010

Le famiglie italiane valgono il doppio del Pil. Il 60% ha una ricchezza netta superiore a quella del 90% dei nuclei di tutto il mondo. Mentre sono meno indebitate di Germania, Francia e Stati Uniti

Case, libretti postali, ma anche investimenti finanziari e capital gain. Con una ricchezza complessiva che riconquista il terreno perso con la crisi finanziaria e si piazza ai livelli più alti dell’intero occidente. Potra non piacere a Giulio Tremonti, viste le frequenti schermaglie con il numero uno di Via Nazionale, Mario Draghi, ma a leggere la fotografia scattata da Bankitalia nel supplemento al bollettino statistico sembra quasi di sentire le parole del ministro dell’Economia.

Gli esperti di Palazzo Koch descrivono, infatti, un Paese tutto sommato solido, con una ottima propensione al risparmio e un livello di indebitamento delle famiglie inferiore a Francia, Germania e Stati Uniti. Un Paese che si fida molto del mattone e non troppo dei prodotti finanziari. E che, soprattutto, ha pochissimo da invidiare agli altri Paesi più industrializzati.
Basti pensare che alla fine del 2009 la ricchezza netta (8.600 miliardi, +1,1% sul 2008) è stata pari a 8,2 volte il reddito disponibile lordo delle famiglie. Alla fine del 2008, ultima data per cui è possibile effettuare un confronto internazionale, il rapporto era di 7,8 volte il reddito disponibile, valore in linea con quello della Francia (7,5) e del Regno Unito (7,7), lievemente superiore a quello del Giappone (7) e significativamente superiore a quello degli Stati Uniti (4,8).

Non solo. Secondo studi recenti, citati da Palazzo Koch, la ricchezza netta mondiale delle famiglie ammonterebbe a circa 160mila miliardi di euro. La quota relativa all’Italia sarebbe pertanto di circa il 5,7%. Percentuale particolarmente elevata se si considera che l’Italia rappresenta poco oltre il 3% del Pil mondiale e meno dell’1% della popolazione del pianeta. E se è vero che il 45% della ricchezza complessiva italiana è in mano al 10% delle famiglie, cosa che farà gridare allo scandalo gli osservatori benpensanti di mezz’Italia, è altrettanto vero che il 60% delle famiglie italiane ha una ricchezza netta superiore a quella del 90% delle famiglie di tutto il mondo mentre la quasi totalità delle nostre famiglie è più ricca del 60% di quelle dell’intero pianeta. Per chi non fosse ancora convinto, spiega spiega l’istituto centrale, «nel confronto internazionale l’Italia registra un livello di disuguaglianza della ricchezza netta tra le famiglie piuttosto contenuto, anche rispetto ai soli paesi più sviluppati».

L’Italia mostra i muscoli anche sul debito privato, che si conferma, come dice Tremonti, elemento di compensazione di quello pubblico e fattore di stabilità del Paese. Alla fine del 2008 l’ammontare dei debiti delle nostre famiglie è stato pari al 78% del reddito disponibile lordo. In Germania e in Francia lo stesso dato risultava vicino al 100%, mentre negli Stati Uniti e in Giappone era addirittura al 130%. Quanto alla composizione, il 41% dell’indebitamento è ovviamente dedicato all’acquisto della casa. I prestiti sono complessivamente cresciuti del 2,6%, arrivando a 641 miliardi, con al primo posto i mutui che arrivano a 349 miliardi (+2,1%), mentre il credito al consumo è arrivato a 108 miliardi, in aumento del 4,6%.
Sul fronte dei risparmi alla fine del 2009 emerge una crescita (+0,4%) dei soldi investiti in attività reali, con il mattone al primo posto che da solo rappresenta l’82,1% del totale per complessivi 4.832 miliardi. In aumento, però, anche il risparmio da attività finanziarie, che cresce del 2,4% rispetto all’anno precedente arrivando a 3.565 miliardi. Il totale delle attività finanziarie registra un incremento dell’1,1% arrivando a 9.448 miliardi. Nel dettaglio, Rispetto al 2008 si osserva una riduzione della quota di ricchezza detenuta in titoli pubblici italiani (-1,8%), a causa dei bassissimi tassi di interesse, mentre è cresciuta quella detenuta in azioni e partecipazioni. Aumentano anche le famiglie che puntano su forme di investimento più liquide come i depositi in conto corrente e il risparmio postale, cresciuti rispettivamente dell’1,4 e dello 0,3%.

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