mercoledì 29 dicembre 2010

I soprusi delle banche costano 45 miliardi alle microimprese

Quarantacinque miliardi persi nel 2010. Non per colpa della crisi, ma delle dimensioni. Già, perché essere piccoli in Italia costa caro. E quando sei piccolissimo, come le microimprese, il prezzo è così salato da diventare spesso insostenibile. A lanciare l’allarme è Comitas, associazione promossa dal Codacons, che si è presa la briga di puntare la lente di ingrandimento sulle storture che il sistema Italia riserva alle aziende con meno di nove dipendenti. I risultati sono clamorosi e preoccupanti. E non tanto per i 45 miliardi complessivi di perdite improprie che l’esercito delle microimprese (oltre 5 milioni di soggetti che producono il 40% del pil) ha dovuto sostenere nel 2010. Alla cifra si arriva, infatti, considerando anche i costi della burocrazia e delle mancate riforme, che pesano su tutto il sistema imprenditoriale.

Quello che lascia di sasso sono i danni provocati da quelle che il Comitas definisce fuori dai denti «vessazioni» e che riguardano principalmente il settore bancario. Fidi revocati, calcoli errati, segnalazioni facili alla centrale rischi, interessi più salati. Nel rapportone messo a punto dall’associazione, che sarà diffuso integralmente alla fine di gennaio, c’è di tutto. Si scopre, ad esempio, che oltre a praticare condizioni più gravose nella concessione dei finanziamenti gli istituti di credito caricano anche gli estratti conto di oneri non dovuti. Errori, senza dubbio, ma molto frequenti e sempre a carico dell’impresa. Su duecento perizie effettuate, tutte hanno evidenziato addebiti anomali, commissioni irregolari, interessi difformi al concordato e altre anomalie verso cui le microimprese, per evidenti questioni economiche e dimensionali, non hanno strumenti di difesa.
Alle sviste materiali si aggiungono poi comportamenti e consuetudini che riesce difficile imputare alla disattenzione. Uno dei problemi principali riguarda la revoca dei fidi. Come spiega il presidente del Comitas, Francesco Tamburella, «la mancanza di regole lascia il campo alle motivazioni disomogenee e pretestuose che trasformano le revoche in un’arma di ricatto che le banche utilizzano per chiudere le controversie con le microimprese». Non solo, spesso in cambio della non segnalazione alla centrale rischi, l’azienda «viene coartata al riconoscimento del debito». Pratica, secondo Tamburella, diffusissima, che comporta «l’impossibilità di riconteggiare gli interessi impropriamente addebitati».

Piccoli trucchetti, quindi, che però alla fine dell’anno pesano molto, soprattutto in tempo di crisi. Anche perché, contrariamente a quanto si pensa, le microimprese restano solitamente fuori dalle iniziative a favore delle Pmi. «Pochi sanno», dice Tamburella, «che le moratorie messe in campo dal governo prevedono requisiti che impediscono l’accesso alle aziende molto piccole». Come se ne esce? Il Comitas ha le idee chiare. «Non chiediamo soldi, ma semplificazione e tutela». Tra le priorità sul piano normativo, Tamburella indica «la giusta causa per la revoca dei fidi, obblighi chiari sul calcolo dei costi, criteri di rating per le microimprese». Per il resto ci sono i tribunali e l’Antitrust, «che presto vedranno arrivare i nostri esposti».

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