mercoledì 3 ottobre 2012

Con il Monti-bis il pil non salirà. Corte Conti boccia la cura dei professori a colpi di tasse e austerity

Una doccia gelata per i tifosi del Monti-bis e per tutti coloro che da settimane ascoltano il premier assicurare che l’Italia, testuali parole, «è già ripartita». La verità, ha spiegato ieri con drammatico realismo la Corte dei Conti, è che la cura dei professori a colpi di austerity e tasse sta uccidendo il Paese. E che il pareggio di bilancio promesso non solo poggia su «un equilibrio precario», ma potrà essere raggiunto solo grazie ad una operazione contabile ai limiti del consentito. Non è un caso che anche Bankitalia abbia chiesto «un attento controllo dei conti nei prossimi mesi, per impedire che sia messo a rischio il risultato importante» del calo del disavanzo, invitando l’esecutivo ad intervenire con decisione sui tagli di spesa e sulla riduzione delle tasse per «riavviare la crescita».

Non è la prima volta che il capo dei magistrati contabili, Luigi Giampaolino, mette in guardia il governo sugli effetti recessivi della stretta fiscale. Ma ora il quadro si è fatto più fosco. Per quanto riguarda il 2012, ha detto nel corso dell’audizione sul Documento di economia e finanza, oltre al calo del Pil «stimato al 2,4%, sorprende soprattutto la diminuzione dell’1% del prodotto anche in termini nominali: un risultato eccezionalmente negativo che, storicamente, si era verificato solo nel 2009». E le cose andranno peggio il prossimo anno. Nel 2013, ha detto Giampaolino, «si registrano minori entrate per oltre 21 miliardi. Di questi poco più di 6,5 miliardi sono riconducibili al superamento dei previsti incrementi dell’Iva, ma la flessione delle imposte dirette (-7,4 miliardi) e dei contributi sociali (-2,3) è da imputare ad una caduta del Pil molto superiore al previsto». Il problema è che si sono scatenati gli «effetti perversi di un corto circuito tra inasprimenti fiscali e crescita economica». Un meccanismo «favorito dalla composizione delle manovre: per quasi il 70% affidate, nel 2013, ad aumenti di imposte». Devastante l’impatto sui consumi. La spesa delle famiglie si è contratta a metà 2012 del 4%. Un dato che è «presumibilmente destinato a peggiorare nella seconda parte dell’anno e nei primi mesi del 2013».

Il bilancio sul governo dei professori è impietoso. «Dosi crescenti di austerità e rigore al singolo paese, in assenza di una rete protettiva di coordinamento e solidarietà, e soprattutto se incentrati sull’aumento del prelievo fiscale», ha sentenziato Giampaolino, «si rivelano alla prova dei fatti una terapia molto costosa e in parte inefficace». Il risultato è che «l’approfondimento della recessione» impedisce ora «di conseguire gli obiettivi di entrata, nonostante gli aumenti discrezionali di imposte». E qui entra in gioco il trucchetto contabile. In linea con le metodologie europee il governo «provvede a depurare le grandezze di finanza pubblica dagli effetti del ciclo economico, attraverso il calcolo dell’indebitamento strutturale». Questo permette di dichiarare il rispetto degli obiettivi.

Tuttavia, ha spiegato Giampaolino, «la flessione dei livelli di attività, quando indotta da misure di politica economica, assume natura discrezionale, laddove la depurazione dagli effetti ciclici dovrebbe, a rigore, applicarsi solo in presenza di perturbazioni aventi natura esogena e casuale». In altre parole, se la recessione è provocata dalle politiche fiscali non sarebbe molto corretto escluderne gli effetti, come invece fa il governo, per far tornare i conti. In questo scenario, ha detto Giampaolino, per compensare il forte calo della domanda «è necessario rafforzare la strategia per la crescita», con «obiettivi più ambiziosi di quelli finora adottati». Identico l’invito di Bankitalia, che ha puntato il dito soprattutto sul peso eccessivo del fisco su lavoro e imprese, con aliquote «nettamente superiori a quelle degli altri Paesi», che «distorcono la concorrenza e ostacolano la crescita». Ma tra le priorità, secondo il dg di Bankitalia, Salvatore Rossi, c’è anche l’abbattimento del debito. «L’alto livello raggiunto», ha spiegato, «impone di predisporre un significativo itinerario di rientro, anche con dismissioni del patrimonio pubblico». Se questo è il quadro non stupiscono le parole del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che ieri, interrogato sulla crescita, ha risposto: «Per avere una vera ripresa, ci metterei la firma se fosse nel 2015».

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