martedì 16 ottobre 2012

L'aumento dell'Iva punisce i più poveri

«Una speranza per gli italiani». Così il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha definito la legge di stabilità varata la scorsa settimana dal governo. Il riferimento, ovviamente, è al mini taglio di un punto di Irpef delle aliquote previste per gli scaglioni di reddito fino a 28mila euro l’anno. «A regime», ha spiegato, «con la nostra manovra rimettiamo 6 miliardi di euro nelle tasche degli italiani e ne riprendiamo 1,2 attraverso la riduzione delle detrazioni».

Il problema è che tra gli italiani di cui parla Grilli ci sono anche 8-10 milioni di contribuenti vicini alla soglia di povertà che della riduzione delle tasse dirette, così come del taglio delle detrazioni, se ne fanno un baffo, perché già non le pagano. Si tratta degli incapienti, che con entrate da pensione o da lavoro fino a 8mila euro appartengono alla cosiddetta no tax area. Il fisco, anche nel 2013, continuerà a non bussare alle loro porte. Al banco della frutta o dal benzinaio, però, non sono previsti sconti di sorta. Ed è proprio qui che saranno dolori.
Il governo, con un po’ di faccia tosta, ha inserito alla voce Iva una diminuzione di gettito di 3,2 miliardi, considerando già acquisito il previsto aumento di due punti percentuali e fingendo, ai fini dei saldi della manovra, di aver tagliato anche lì. In realtà, l’incremento di un punto previsto in manovra per le aliquote del 10 e del 21% comporterà una ulteriore bastonata su tutte le famiglie italiane, comprese quelle che non hanno alcuna compensazione sul fronte dell’Irpef come gli incapienti,  di 3,28 miliardi nel 2013 e di altri 6,56 miliardi l’anno per 2014 e 2015. In tutto si tratta di uno scherzetto da 16,4 miliardi cumulati sul triennio.

Il governo ci ha tenuto a sottolineare che i beni di prima necessità resteranno esclusi dagli aumenti. Ma la consolazione è assai magra. Se pane, pasta e frutta resteranno tassati al 4% i rincari riguarderanno sia prodotti di largo consumo come acqua, vino, succhi di frutta, caffé, bevande (oggi al 21%) sia prodotti che è difficile definire non essenziali, come la carne, le uova, lo zucchero e il riso (oggi al 10%). Oltre a questo, anche uno studente del primo anno di economia sa perfettamente che l’aumento delle imposte indirette sui carburanti, sull’energia e sui servizi si ripercuoteranno a cascata su tutto il settore produttivo. Così come peseranno sulle imprese l’aumento definitivo dell’accise sulla benzina deciso dopo il terremoto in Emilia (circa un miliardo l’anno) la nuova imposta di bollo sulle transazioni finanziarie (la tobin tax, da cui il governo prevede di incassare circa un miliardo l’anno), l’aumento dell’acconto sulle riserve tecniche delle assicurazioni (623 miliardi l’anno), la stretta sulla deducibilità delle auto aziendali (453 miliardi l’anno), la stretta sulla deducibilità fiscale degli ammortamenti (200 miliardi nel 2013, 800 nel 2014 e 500 nel 2015) e il taglio alle agevolazioni delle società agricole (circa 70 miliardi l’anno).

Tutti costi che, inutile dirlo, saranno scaricati inevitabilmente sull’utente finale. Codacons e Confcommercio hanno calcolato che l’aumento dell’Iva a regime avrà un impatto sull’inflazione, e quindi sul costo della vita, che oscilla dallo 0,7 ad oltre un punto percentuale, che si andrà ad aggiungere a quello già previsto in base all’andamento ciclo economico. Il risultato, secondo il Codacons, sarebbe di un incremento delle spese per ogni famiglia di quasi 380 euro. Anche al netto degli aumenti indiretti, comunque, l’aggravio calcolato dalla Cgia di Mestre per l’Iva maggiorata è di di 23 euro nel 2013 e di 47 dal 2014 per il contribuente sotto gli 8mila di reddito senza famigliari a carico. Per chi si è permesso il lusso di mantenere una famiglia (moglie e un figlio) l’esborso sale a 40 e 60 euro. 

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