martedì 24 gennaio 2012

Tassate anche le liberalizzazioni

Far valere i propri diritti può costare fino a 5.864 euro. Alla faccia delle liberalizzazioni. Nelle pieghe del decreto varato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, che dovrebbe favorire la concorrenza, abbassare le tariffe e tutelare i consumatori, spunta l’ennesimo balzello. La sorpresina è contenuta nella parte alta del provvedimento, quella, per intendersi, che contiene i cavalli di battaglia dell’intera riforma,  a partire dalla «liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese».

Subito dopo, articolo 2, ci sono le norme che istituiscono il cosiddetto tribunale delle imprese, nuovo organismo incaricato di risolvere tutte le controversie in materia societaria, comprese le class action promosse dai consumatori. Il testo messo a punto dal premier Mario Monti e dal Guardasigilli Paola Severino, in sostanza, prevede l’allargamento delle competenze delle sezioni specializzate di alcuni tribunali maggiori che, dal 2003, si occupano di dirimere le questioni sulla proprietà industriale e sul diritto d’autore. In capo a questi uffici, che secondo gli esperti dell’Istituto Bruno Leoni saranno completamente ingolfati annullando così qualsiasi vantaggio previsto dal legislatore, oltre alle azioni di classe, finiranno tutte le impugnazioni di delibere e decisioni degli organi sociali delle imprese, le cause tra soci e società, quelle relative al trasferimento delle partecipazioni sociali, quelle sulle azioni di responsabilitò promosse dai creditori delle società controllate contro le controllanti, quelle contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo e, infine, quelle relative a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria.

Il bello arriva al comma 2, in cui si prevede che «in materia di spese di giustizia» per i «processi di competenza delle sezioni specializzate il contributo unificato è quadruplicato». Il “contributo” altro non è che un’imposizione fiscale sugli atti giudiziari. Si tratta del balzello che, in  base al testo unico in materia di spese di giustizia (dpr. 115/2002), ha riunito tutti i bolli e diritti di cancelleria il cui pagamento è necessario per iniziare qualsiasi processo. Ad alzare un po’ le tariffe dello Stato ci aveva già pensato il vecchio governo, nella manovra di luglio. Ora, con il nuovo tribunale delle imprese, la tassa aumenta addirittura di quattro volte. La somma piena, 5.864 euro, si pagherà per tutte le cause che finiscono davanti alla Corte di Cassazione per valori (che in materia societaria non sono affatto elevati) al di sopra di 520mila euro. Prima il balzello era di 1.466 euro. Stesso discorso per lo scaglione inferiore (da 260mila e 520mila). La tassa schizza da 1.056 a 4.224 euro. Le cifre vanno poi a scendere per i processi di valore inferiore e per i primi gradi di giudizio, in cui, per un arzigogolo difficilmente comprensibile, si prevede che la quadruplicazione della tassa si applichi su una cifra dimezzata rispetto a quella ordinaria, cosa che avviene normalmente nelle cause di lavoro. Il risultato è che si pagheranno 2.112 euro (invece di 1.056) per i processi di primo e secondo grado tra i 260mila e 520mila euro, 1.320 (invece di 660) per quelli tra 52mila e 260mila e così via. Fino ad arrivare a 74 euro (invece di 37) per le cause sotto i 1.100 euro. Il gettito aggiuntivo, così come già previsto dalla manovra di luglio, finirà in un fondo presso il ministero dell’Economia per la realizzazione di interventi urgenti in materia di giustizia civile, amministrativa e tributaria. Nobile scopo. Resta, però, da capire per quale motivo per consentire a imprese e consumatori di difendere con più facilità i propri diritti si debba far pagare il sovrapprezzo.

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