martedì 10 gennaio 2012

Profumo è costato 19,5 miliardi ai soci Unicredit

«Non ci aspettavamo un calo del titolo in Borsa di questa entità, che va al di là della flessione fisiologica attesa, dovuto a fattori tecnici e a fattori di carattere più generale. Ma questo non tocca la bontà dell'operazione». L'ad tenta di limitare i danni e di rassicurare gli investitori, ma la sostanza è che dopo quattro giorni di passione anche Federico Ghizzoni, alla fine, è stato costretto ad ammettere che il crollo delle azioni Unicredit è devastante.

Dall'annuncio dello sconto sull'aumento del 43%, nelle ultime tre sedute della scorsa settimana il titolo dell'istituto di piazza Cordusio ha mostrato un tonfo di circa 37 punti percentuali, ovvero 4,5 miliardi di capitalizzazione andati in fumo. Alla chiusura del 6 gennaio, la banca milanese capitalizzava in Borsa 8,01 miliardi di euro, poco più dei 7,5 miliardi chiesti ai soci per venire incontro alle richieste della European Banking Authority. Ieri è arrivato l'ennesimo crollo: l'azione della banca guidata da Ghizzoni, dopo numerosi stop al ribasso, ha ceduto a Piazza Affari il 12,8% punti percentuali a 2,28 euro. È andata peggio ai diritti che consentono di partecipare all'aumento, che sono andati a picco del 65,42% a 0,47 euro rispetto agli 1,359 euro fissati in apertura.

Di fronte all'apocalisse borsistica, Ghizzoni ha cercato di mostrare ottimismo. «Va detto con chiarezza», ha spiegato in collegamento con i 60mila dipendenti italiani del gruppo, «che i fondamentali della banca sono buoni, che abbiamo una ottima situazione di liquidità, e tutto ciò avrà molto più valore al termine dell'operazione». L'ottimismo, unito ad un po' di retorica patriottica, è anche uno degli ingredienti dello spot pubblicitario che da oggi tenterà di sostenere il buon esito dell'aumento. L'istituto milanese reclamizzerà l'operazione con un filmato, che dura circa 20 secondi, in cui si vede una donna intenta ad arrampicarsi su un pennone, sulla cui estremità sventola una bandiera italiana. Da raggiungere per “conquistare l'italianità”.
La tesi del management, non del tutto peregrina, è che Unicredit è la prima banca italiana ad affrontare una ricapitalizzazione di questo peso da quando si è riaccesa la crisi del debito sovrano, operazione che altri istituti dovranno probabilmente affrontare di qui ai prossimi mesi con non meno problemi.
I conti si faranno alla fine. Di sicuro, per ora, c'è che per Unicredit si tratta dell'ennesima richiesta di mezzi freschi agli azionisti in meno di tre anni. Una via crucis dolorosissima il cui peso principale è stato sostenuto durante la gestione della banca da parte dell'ex ad Alessandro Profumo. E c'è chi non esita ad attribuire anche la responsabilità di quest'ultimo sforzo alla gestione del banchiere che ha guidato l'istituto per 15 anni fino al settembre del 2010. I numeri, in ogni caso, parlano di un salasso complessivo dal 2009 ad oggi di ben 19,5 miliardi (per fare un confronto nel crack Parmalat furono bruciati 14 miliardi). Alla somma incredibile si arriva con i 4 miliardi di aumenti del 2009, i 4 del 2010, i 7,5 di ora e i 4 miliardi di dividendi non distribuiti.

© Libero