A sentire Attilio Befera ogni anno è da record. Gli annunci trionfalistici degli incassi dalla lotta all’evasione si susseguono con meticolosa periodicità (solitamente c’è una stima tra ottobre novembre, il dato consolidato nei primi mesi dell’anno e un andamento diffuso prima dell’estate) dalla seconda metà del 2008, quando il superispettore del fisco è approdato alla guida dell’Agenzia delle Entrate. Erano 6,9 miliardi nel suo primo anno da direttore, sono diventati 9,1 nel 2009, 10 nel 2010. Per il 2011 si prevede l’ennesimo record con 11 miliardi e le stime per quest’anno arriverebbero addirittura (merito del redditometro, secondo Befera) a 13 miliardi.
Eppure, la raffica di successi non sembra avere intaccato più di tanto il malloppo nascosto al fisco dagli evasori. I dati Istat relativi al 2007 parlavano di cento miliardi, euro più euro meno. Secondo un’analisi di Confindustria del giugno 2010 i miliardi sarebbero invece 124. La versione ufficiale dell’Agenzia delle Entrate del 10 maggio 2011 quantifica l’evasione fiscale a 120 miliardi di euro. I conti, insomma, tornano fino a un certo punto. Anche se mister fisco è pronto a giurare che l’amministrazione tributaria non ha mai smesso di mostrare i muscoli contro i “furbetti”, di qualsiasi colore fosse il governo in carica.
Dopo l’ultima, clamorosa, performance di Cortina Attilio Befera è ormai diventato un fenomeno mediatico da prima pagina. E molti hanno imparato a conoscere il suo viso. Pochi sanno, però, che il direttore dell’Agenzia delle Entrate fa l’agente del fisco da oltre 17 anni. E che il suo curriculum, malgrado ora molti sia nel centrodestra sia nel centrosinistra storcano il naso verso le sue iniziative eclatanti, è rigorosamente bipartisan.
La storia professionale di Befera parte in qualche modo dall’altra parte della barricata, al fianco di quelle imprese di cui adesso passa al setaccio i libri contabili. Prima di diventare superispettore del Secit (il contestato Servizio centrale degli ispettori tributari) nel 1995, Befera aveva infatti prestato circa trent’anni di onorato servizio in Efibanca (del gruppo Bnl), una banca d’affari che si occupava principalmente di assistenza alle aziende medie e medio-grandi nell’attività di credito industriale e strutturato. Lì il futuro ispettore, entrato come neodiplomato, scala tutte le poltrone fino a diventare direttore centrale, responsabile delle strutture che presidiavano le aree amministrativa, fiscale, informatica e organizzativa dell’istituto di credito.
Al Secit l’ascesa è più rapida. Gli bastano due anni (aprile 1997) per diventare dirigente generale del ministero delle Finanze con l’incarico di direttore centrale per la riscossione del dipartimento delle entrate. A fare il suo nome è Vincenzo Visco. Ma Befera, classe 1946, si trova ottimamente anche con quello che nel 2001 si pensava fosse la nemesi del ministro prodiano. Con l’arrivo di Giulio Tremonti e la nascita delle Agenzie fiscali, Befera viene subito piazzato alle Entrate, dove ricopre prima l’incarico di direttore centrale per i rapporti con gli enti esterni e poi come direttore centrale dell’amministrazione. Nel frattempo, Befera lavora insieme a Tremonti al grande progetto per riportare la riscossione, prima affidata attraverso concessioni agli istituti di credito, sotto il cappello dello Stato. Nasce Riscossione spa, che poi diventa Equitalia. E nell’ottobre del 2006, con Visco di nuovo ministro, Befera ne diventa il numero uno.
È in quegli anni che il fisco inizia ad affilare veramente le armi. Il cerchio si chiude nel maggio 2008, quando Tremonti (in cui ormai non si scorge quasi più neanche il barlume del paladino delle partite Iva del governo precedente) torna a Via XX Settembre e gli affida senza pensarci due volte la guida dell’Agenzia dell’Entrate in abbinata con la presidenza di Equitalia.
I due incarichi gli fruttano la bellezza di 456.733 euro lordi all’anno, ma gli danno soprattutto la possibilità di trasformare gli uffici del fisco in una vera e propria macchina da guerra. Supportato da una serie di modifiche normative varate da Tremonti (in perfetta sintonia e a completamento della linea dura di Visco), Befera può iniziare ad incrociare i dati dei conti correnti con quelli dell’Inps, ha controllare spese ed acquisti, ad accertare sinteticamente i redditi di famiglie e imprese, a invertire l’onere della prova e ad incassare immediatamente le somme richieste. Il risultato è complessivamente devastante per il quieto vivere dei contribuenti, costretti per lo più a dimostrare di essere innocenti, a volte sulla base di calcoli teorici effettuati a tavolino (vedi studi di settore e redditometro).
È in questo periodo che il direttore dell’Agenzia delle Entrate si libera dei panni dell’oscuro burocrate e inizia rilasciare interviste, a promettere fuoco e fiamme contro evasori ed elusori, a dare lezioni di civiltà tributaria e di politiche fiscali. Attitudine che sembra rafforzata dalla coabitazione col nuovo governo tecnico. Al bastone ogni tanto Befera alterna la carota, come quando, nel maggio scorso, invia una lettera aperta ai dipendenti chiedendo di mettere da parte «arroganza e soprusi», «astuzie burocratiche», «esasperanti formalismi» e di sfoderare piuttosto nei confronti dei cittadini le armi della «disponibilità, della cortesia», della «serietà e della coerenza». La frase da incorniciare è quella con cui la missiva si chiude: «Comportiamoci tutti, come funzionari del fisco, così come vorremmo essere tutti trattati come contribuenti». A Cortina l’hanno già appesa dietro i banconi di bar e ristoranti.
© Libero