Sono gli effetti collaterali quelli che ora spaventano di più. Il primo, più immediato, è sul rifinanziamento del debito italiano. Il Tesoro nel 2012 dovrà emettere titoli di Stato, al netto delle aste già effettuate nei giorni scorsi, per circa 430-440 miliardi. Somma necessaria a coprire 23,6 miliardi di fabbisogno pubblico e i titoli in scadenza.
Di questi, una buona parte saranno Bot flessibili, a tre, sei e dodici mesi. E qui si spera che l’impatto sia abbastanza limitato, grazie anche alle aste di liquidità della Bce che dovrebbero tenere abbastanza bassi i rendimenti. Altri 202 miliardi di debito in scadenza, però, è composto da titoli a medio-lungo termine. Il Tesoro cercherà di riequilibrare la composizione del debito pubblico spostando maggiore peso sui Bot, ma non potrà effettuare sbilanciamenti troppo significativi. Questo significa che alle fisologiche fluttuazioni del mercato, spread con i Bund che staziona sui 500 punti base, ora si aggiungeranno le previsioni catastrofiche di S&P, che potrebbero far schizzare i rendimenti se non al di là della soglia di sostenibilità (per Bankitalia è di 700 punti) a livelli comunque molto onerosi per le finanze pubbliche.
Ai maggiori costi per la raccolta dello Stato si aggiungono quelli per la raccolta bancaria. L’abbassamento del rating si trasferirà presto a tutti i principali istituti di credito, visto che solo i 5 principali hanno in pancia circa 155 miliardi di obbligazioni del Tesoro, che di qui alla fine dell’anno devono rifinanziare circa 113 miliardi di bond in scadenza. La maggior parte concentrati nelle banche più grandi. Unicredit, ad esempio, dovrà rimborsare entro il 2012 34 miliardi di obbligazioni, Intesa 22 ed Mps 12,5. Certo, c’è la seconda asta a 3 anni della Bce prevista per il 28 febbraio da cui le banche potrebbero attingere la liquidità necessaria. Peccato che anche per prelevare soldi dall’Eurotower si debbano emettere obbligazioni a garanzie e che quelle preferite dalla Banca centrale siano quelle bollinate dallo Stato appena declassato. Inutile dire che una difficoltà delle banche a recuperare liquidità sul mercato si tradurrebbe immediatamente in una ulteriore stretta sul credito alle famiglie e alle imprese. Risultato: un’altra zavorra per la ripartenza dell’Italia.
Il terzo effetto collaterale, quello più macroscopico, si abbatterà direttamente sul fondo salva-stati, che per trovare il denaro necessario ad aiutare i Paesi in difficoltà non fa altro, anche lui, che emettere obbligazioni garantite dagli Stati membri. Non a caso dopo aver abbassato il rating di 9 dei 17 paesi della zona euro, S&P ieri ha minacciato anche di declassare il Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF). «I titoli EFSF sono, almeno fino al 12 gennaio, coperti da una garanzia al cento per cento tripla A», ha spiegato il capo analista per l’Europa dell’agenzia, Moritz Kraemer. Ma ora, ha detto, «non si raggiungerà più il 100% di copertura». In altre parole, lo strumento a cui sono appese le sorti dell’Europa avrà meno colpi a disposizione.
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