Insomma, a zero siamo e, forse, a zero resteremo. Grandi accelerazioni all'orizzonte non se ne vedono affatto. Anche perché le compagnie hanno appena sborsato oltre 4 miliardi per le frequenze della banda larga mobile ed è lì (sui servizi Lte) che investiranno nei prossimi anni per intercettare il ricco e in forte crescita mercato di tablet e smartphone. È forse per questo che Calabrò ha tentato nelle nuove regole per la Ngn emanate l'11 gennaio (solo ieri è stata pubblicata la delibera) di non creare troppi problemi a Telecom, l'unico soggetto forse in grado di sostenere investimenti sulla rete di nuova generazione, non imponendo obblighi di unbundling fisco della rete (come chiedeva invece Bruxelles). Il presidente dell'Agcom si è giustificato sostenendo che la scelta di consentire l'accesso ai concorrenti attraverso altri strumenti (più onerosi e meno competitivi) è stato dettato dal fatto che Telecom si sta orientando verso uno sviluppo della rete (Gpon) che non consente la disaggregazione fisica della stessa. Motivazione curiosa visto che i cavi in fibra in Italia sono ancora così pochi e praticamente tutti da realizzare. Il rischio è che in questo modo l'authority abbia scoraggiato gli investimenti degli operatori alternativi e permesso all'ex monopolista di spremere fino all'ultimo le potenzialità di business legate alla vecchia rete in rame su cui siamo costretti a far viaggiare i nostri dati.
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