sabato 15 gennaio 2011

La sinistra fa sempre gli stessi errori. Perde alle urne e se la prende col Cav

Non sapendo come incassare la sconfitta, Nichi Vendola si è buttato goffamente sul caso Ruby, sperando di distogliere l’attenzione. «Ancora una volta», riferendosi all’inchiesta “tempestivamente” riaperta da Milano dopo il verdetto della Consulta, «invece che guardare alle urne di Mirafiori guarderemo o perlomeno immagineremo quello che c’è nel tinello domestico di una delle ville del premier. La vita privata del premier impedisce a noi di poter vivere la politica come una contesa anche civile e culturale sul futuro del Paese».

Manovre evasive a parte, per il leader della sinistra antagonista che negli ultimi mesi ha dato parecchio filo da torcere al Pd e si è speso moltissimo anche sul fronte del sostegno alla Fiom, «Berlusconi è sceso in campo non con gli abiti dell’arbitro, ma con le scorrettezze di chi gioca con una delle parti e non di chi conserva un atteggiamento d’equilibrio nei confronti della principale vertenza sociale aperta oggi in Italia».
Ma accanto alle condanne nette di una parte dell’opposizione, con il rifondarolo Paolo Ferrero, che definisce l’accordo «peggio di quello dei braccianti dell’ottocento, una sorta di ricatto mafioso», e ai continui distinguo di Pierluigi Bersani («l’investimento ci vuole, c’è però un pezzo di accordo, quello sulla rappresentanza che non va bene»), che non trova di meglio anche lui che prendersela con Berlusconi sostenendo che il premier «non ha i titoli per parlare di mercato», c’è anche un pezzo della sinistra riformista che festeggia il nuovo corso. Con un entusiasmo che supera addirittura quello dei Chiamparino, dei Fassino e degli Enrico Letta che nei giorni scorsi hanno fatto il tifo per Marchionne. Il sì al referendum sull’accordo per lo stabilimento Fiat di Mirafiori, secondo Pietro Ichino, apre un percorso di «svolta» per il sistema delle relazioni industriali del Paese. Il senatore del Pd, Pietro Ichino, parla dell’evoluzione verso un nuovo assetto della contrattazione e della rappresentanza in azienda e sostiene la necessità dell’Italia di aprirsi agli investimenti. «Con la vittoria del sì», spiega Ichino, «non c’è dubbio che questo contribuirà alla tendenza a spostare il baricentro della contrattazione collettiva verso la periferia, i luoghi di lavoro».

E a chi ancora si azzarda a parlare di diritti calpestati o, come nel caso di Bersani, di problemi sulle rappresentanze sindacali in azienda (da costituire tra i sindacati firmatari e dunque senza la Fiom-Cgil), il giuslavorista spiega che «l’accordo ricalca esattamente quanto previsto attualmente all’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori», premette il giuslavorista.
Piaccia o non piaccia, la posizione del senatore del Pd non è così lontana da quella tanto criticata di Silvio Berlusconi, che dopo aver ieri mattinato mostrato ottimismo sul risultato del referendum, in serata ha definito «la vicenda Fiat uno spartiacque, fra quanti, nelle imprese e nel sindacato, vogliono la modernità, e quanti si illudono di poter strumentalizzare i lavoratori per tornare al passato. Come sempre, il principale partito della opposizione è diviso, non ha una linea, non ha il coraggio si sposare la strada della modernità».

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