mercoledì 5 gennaio 2011

Bersani-Marcegaglia: patto anti-Marchionne. Il Pd si spacca su Fiat e per non perdere pezzi il segretario si aggrappa a Emma

È un coro inedito quello che si è ascoltato ieri sull’affaire Marchionne. Un coro eterogeneo, ma perfettamente intonato nel chiedere un riassetto delle relazioni industriali attraverso un accordo interconfederale tra imprese e sindacati sulle regole per la rappresentanza.

 A lanciare l’appello è una curiosa alleanza tra Pd e Confindustria, entrambi usciti malconci dalla bufera provocata dalle mosse del Lingotto. Con il primo mandato in mille pezzi dagli accordi storici di Pomigliano e Mirafiori e la seconda costretta ad accettare l’uscita di uno dei membri più illustri dall’associazione delle imprese. Per Confindustria la mano tesa ieri dal vicepresidente Antonio Bombassei ai sindacati per un’intesa sulle regole non è una novità. Da tempo i vertici di Viale dell’Astronomia e di Federmeccanica stanno lavorando ad una riscrittura del contratto che permetta quella flessibilità e quelle deroghe chieste dall’ad del Lingotto. Un obiettivo su cui è stata subito trovata la convergenza con Cisl e Uil (interessati ovviamente a mantenere in vita la cornice del contratto nazionale senza perdere il treno degli investimenti Fiat), ma non con la Fiom. Ed è alla casa madre che Bombassei ora si rivolge, ricordando che con la Cgil sono stati firmati 35 contratti che interessano 4 milioni di lavoratori e che solo i metalmeccanici hanno puntato i piedi. Ne deriva, conclude l’esponente di Confindustria, che «la Fiom è il problema, anche per la Cgil».

Più complicata, e imbarazzante, la situazione del Pd, che si è trovata a dover fare i conti al proprio interno con dei veri e propri tifosi del metodo Marchionne. «Se lavorassi a Mirafiori direi subito sì al referendum», ha aperto le danze il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino. E giù a ruota sono arrivate le adesioni di Piero Fassino, Walter Veltroni, Pietro Ichino, Enrico Letta.
Una spaccatura inaccettabile per Bersani, che permette ai Vendola e ai Di Pietro di rafforzare il legame non solo con con quel movimento di protesta che ormai raccoglie sinistra radicale, studenti e militanti della Fiom, ma anche con una Cgil da sempre incardinata a doppio filo con il Pd. Ed ecco la soluzione. Una linea anti-Marchionne, ma non anti-Fiat. Bene gli investimenti, le nuove regole sullo sciopero, le pause più corte, i turni più frequenti, la produttività ecc. ecc., ma le rappresentanze sindacali non si toccano. Ed ecco il punto di contatto con Confindustria, che sulla “rappresentanza” vuole ricompattare il fronte dei sindacati per riportare la Fiat dentro Viale dell’Astronomia. Il tema è vitale per la Fiom, che in base ai nuovi accordi (solo chi tratta e chi firma le intese ha diritto ad avere delegati sindacali in fabbrica) si troverebbe declassata al ruolo di Cobas senza diritti né garanzie.

Ma il carpiato del Pd va oltre, perché depositate in parlamento ci sono diverse proposte di legge a firma di esponenti del partito, ma la tesi di Bersani, formalizzata in un documento firmato da moltissimi senatori del centrosinistra, preferisce l’accordo interconfederale tra le categorie. Un modo per aggirare un dibattito in parlamento che sgretolerebbe definitivamente il partito.
Intanto, aspettando il debutto della Fiat di lunedì a Piazza Affari, l’Istat ci fa sapere che a ottobre, l’occupazione nelle grandi imprese continua a calare (-1,6% sul 2009), ma scende anche il ricorso alla cassa integrazione, che diminuisce di 6,7 ore su mille rispetto al 2009.


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