venerdì 21 gennaio 2011

«Il contratto Mirafiori farà ripartire l’Italia»

Altro che ricatto mafioso. L’accordo approvato a Mirafiori «semplicemente allinea le pratiche del lavoro in Fiat con quelle del resto d’Europa e del mondo industrializzato». Ad affermarlo non è Maurizio Sacconi e neanche Raffaele Bonanni, ma il Wall Street Journal, che in un’analisi pubblicata ieri conferma in tempo reale le affermazioni di Sergio Marchionne sull’applicazione del modello tedesco agli operai italiani. Ma il quotidiano della piazza finanziaria newyorkese va oltre le parole del manager, che ha detto di voler estendere il nuovo contratto a tutte le realtà della Fiat.

Secondo il Wsj quella messa in atto dal Lingotto è una vera e propria rivoluzione, poiché «ha aperto la strada ad altre aziende per ottenere una maggiore flessibilità» e permetterà all’Italia di contrastare un «declino di competitività che  in Italia non ha colpito solo i lavoratori dell'automobile». Il 30% della quota di mercato dell’export globale perso dal 1996, secondo il giornale «ha molto a che fare con un sistema di trattative a livello nazionale che impone alle aziende contratti di lavoro del tipo uno per tutti». Di qui la convinzione che «riforme come quelle sostenute dalla Fiat» siano «vitali non solo per il successo della casa automobilistica ma anche per l’economia italiana».
Anche il Financial Times ieri si è occupato di Marchionne, sostenendo che «in Europa sia i politici che i possessori di bond dovrebbero essere particolarmente sollevati dal risultato» del referendum della scorsa settimana in Fiat. Una vittoria dei sindacati che a Mirafiori sostenevano il no, spiega infatti il quotidiano londinese, «avrebbe incoraggiato le forze più estremiste nel resto della compagnia» rallentando «il passo del cambiamento». Non solo: «il colpo alla credibilità di Marchionne avrebbe potuto persino far fallire il piano di conquistare la proprietà di Chrysler». Certo, ricorda il Financial Times, Mirafiori è «una fabbrica in perdita che conta per meno del 20% della produzione europea di Fiat e circa l’1% delle vendite di auto nell’Unione Europea». Gli investitori, però, «sono alla ricerca di qualsiasi indizio sulla incapacità dell’Italia, fortemente indebitata, di affrontare le proprie sfide economiche». Di qui, l’idea che «una vittoria dei no avrebbe scatenato una valanga di vendite di bond».

Sul fronte italiano a tenere banco sono il braccio di ferro tra Cgil, Cisl e Uil sulle rappresentanze e le mosse di Confindustria per riportare la Fiat dentro Viale dell’Astronomia il prima possibile. Sul primo punto Cisl e Uil si dicono pronte ad un accordo che replichi quello raggiunto nel documento unitario siglato nel 2008. La Cgil spera invece di portare a casa una serie di modifiche che potrebbero far rientrare in gioco la Fiom e, soprattutto, bloccare accordi stile Pomigliano e Mirafiori in altri stabilimenti della Fiat.
Sulla questione contrattuale, Emma Marcegaglia ha annunciato che lunedì ci sarà l’incontro tra Federmeccanica e sindacati per lavorare alle nuove regole sul settore dell’auto. Non appena ci sarà il contratto, ha  spiegato il presidente di Viale dell’Astronomia, «le due newco rientreranno in Confindustria». L’accordo con il Lingotto, ha infatti spiegato, «è che c’è la volontà di procedere in questo senso». Quanto alla partecipazione dei lavoratori agli utili, auspicata da Marchionne ieri, per Bonanni è un passaggio «obbligatorio». La questione, ha detto, «noi l’abbiamo posta già dal primo giorno». restano caute, per ora, Uil e Ugl. No secco, ovviamente, dalla Cgil.

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