giovedì 6 giugno 2013

L'euro ci costa uno stipendio l'anno

Non è facile dipanare l’intreccio perverso degli effetti dell’unione monetaria europea e della crisi internazionale. Di sicuro il combinato disposto (e il numero di chi sostiene che i due fattori non siano affatto slegati si ingrossa giorno dopo giorno) ha fatto precipitare il nostro Paese nella recessione più violenta dal Dopoguerra ad oggi. Al di là delle valutazioni sui presunti benefici arrivati con l’introduzione dell’euro o, viceversa, sui vincoli troppo severi che hanno affossato ancora di più la nostra già debole economia, il bilancio che emerge dai numeri è abbastanza eloquente: dal 2000 ad oggi il Paese si è impoverito. E non di poco.

 Gli ultimi dati dell’Istat relativi al 2012 parlano di un crollo verticale del reddito disponibile, ovvero dei soldi che restano nelle tasche di una famiglia dopo aver pagato tasse e contributi. Ebbene, il valore l’anno scorso è diminuito del 2,1%, con un calo nell’ultimo trimestre del 3,2% rispetto al quarto trimestre del 2011. E i soldi sono ancora meno quando servono per comprare qualcosa. Tenuto conto dell’inflazione, il potere di acquisto dei nuclei familiari è sceso addirittura del 4,8%, con una diminuzione nel quarto trimestre del 2012 del 5,4% rispetto all’anno precedente. Il crollo registrato dall’Istat nel 2012, tanto per avere un’idea, risulta essere la peggiore variazione annua da quando l’Istituto di statistica ha iniziato le rilevazioni, ovvero dal 1990.

In questo caso la colpa può facilmente essere attribuita alla crisi. E sicuramente non si sbaglia attribuendo alla recessione in cui si è avvitata l’Italia nell’ultimo anno la contrazione così repentina del reddito delle famiglie. Ma siamo sicuri che dobbiamo prendercela solo con la crisi? In realtà, allargando la prospettiva scopriamo che anche prendendo in esame un arco temporale più ampio, il risultato cambia poco. Secondo un recente uno studio realizzato da Rete Imprese Italia il reddito disponibile reale pro capite attualizzato con il valore dell’euro nel 2012 nel 2013 è sceso a quota 16.955 euro. Si tratta di un numero che in Italia non si vedeva dal 1986, quando si era attestato a 16.748. Tra il 2012 e il 2011, invece, si è passati da 18.216 euro a 17.337 euro, con un calo del 4,8%.
Per avere un quadro ancora più chiaro, e focalizzato sul periodo che ci separa dall’introduzione, siamo andati a spulciare le serie storiche dell’Istat, sui cui dati abbiamo elaborato l’andamento del prodotto interno lordo e del poter d’acquisto delle famiglie (che altro non è che il reddito lordo disponibile ottenuto utilizzando il deflatore della spesa per consumi finali) dal 2000 ad oggi.

Il quadro complessivo non è molto incoraggiante. Le cose non sono andate bene, a partire dalla crescita. L’andamento registrato dall’Istat, con valori concatenati di riferimento al 2005, descrive un andamento abbastanza stabile fino al 2006, con un leggero picco nel 2007 e poi la graduale discesa fino al 2011 (che è l’ultimo anno disponibile per cui l’Istituto fornisce il pil pro capite). Il risultatè è che si è passati da una quota pro capite di 24mila euro nel 2010 ai 23.470 euro del 2011. Siamo di fronte, in questo caso, ad un calo del 2,2%.
Il bilancio dell’era europea è assai peggiore sotto il profilo delle risorse in mano alle famiglie. Che sono quelle che poi determinano i consumi a cui è agganciata tutta l’economia del Paese. Come sono andati quest’ultimi ce lo riferisce sempre Rete Imprese Italia, secondo cui nel 2013 la quota di consumi reali pro capite ha toccato la soglia dei 15.600 euro. Valore molto vicino a quello del 1998, quando era 15.700 euro. Anche su questo fronte la variazione percentuale annua tra il 2012 e il 2011 è consistente. In termini assoluti si tratta di oltre 700 euro in meno, che costituiscono un calo del 4,4%.

Ancora più significativo è però il differenziale se prendiamo in considerazione gli anni in cui è stata introdotta la moneta unica europea. In questo caso, infatti passiamo da un potere d’acquisto procapite del 2000 di 16.600 (che supera la soglia dei 17mila negli anni successivi) ad un valore che nel 2012 si è attestato a 15.200 euro. E promette di scendere ancora anche per l’anno in corso. Lo scarto percentuale tra 2000 e 2012 è negativo per 8,4 punti percentuali. In altre parole, è come se l’euro, nell’arco di 12 anni ci avesse portato via un dodicesimo del nostro potere d’acquisto. Se pensiamo alla busta paga, si tratta di uno stipendio tondo tondo. 
E la situazione, purtroppo, sembra destinata a peggiorare ulteriormente. Ieri Eurostat ha confermto il calo del Pil europeo nel primo trimestre 2013, con un prodotto interno lordo diminuito dello 0,2% nell’Eurozona e dello 0,1% nell’Ue a 27 paesi. Ovviamente peggiore il nostro dato, con una flessione del Pil dello 0,5% (-0,9% nel trimestre precedente). Stesso discorso su base annua, con una flessione dell’1,1% nell'Eurozona, dello 0,7% nella Ue e addirittura del 2,3% in Italia.
Gli unici paesi europei che hanno registrato rialzi in controtendenza sono Lituania e Lettonia (rispettivamente, +1,3% e +1,2%), Ungheria e Romania (+0,7% ciascuna); anche il dato in Germania è tornato positivo dopo la flessione dell’ultimo trimestre 2012 (+0,1%) mentre in Francia il pil è sceso dello 0,2% e in Spagna dello 0,5%.

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