mercoledì 12 giugno 2013

Il governo sta fermo. Pagheremo Iva e Imu

Il governo ha deciso di cambiare passo. Ma i soldi non ci sono. Così, al posto di interventi su Iva e Imu arriveranno i certificati di maternità per via telematica. La misura, tra le altre, è una di quelle a cui sta lavorando l’esecutivo nell’ambito di un pacchetto di riforme per rilanciare l’economia. L’annuncio è stato dato al termine della riunione di maggioranza che si è tenuta ieri mattina a Palazzo Chigi. Prima del prossimo Consiglio europeo, ha annunciato il ministro per i Rapporti col Parlamento, Dario Franceschini, il governo varerà un «decreto del fare» che contiene «misure su occupazione, fisco, lavoro e giovani».

La prima cosa che molti hanno pensato, non appena pronunciata la parola «fisco», è alle scadenze di Imu, Iva, Irpef, Ires, Irap e addizionali varie che di qui a pochi giorni costringeranno gli italiani ha raschiare il fondo del barile. Vuoi vedere che il premier Enrico Letta ha finalmente trovato il modo di dare un segnale sulle tasse? Il fraintendimento è durato poco. Dall’assemblea di Confartigianto, dove è intervenuto, il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato ha subito precisato che ci saranno «interventi concreti per l’economia», ma molte delle misure saranno «a costo zero». Ancora più chiaro il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda: «Nel decreto del fare si tratta della materia fiscale, ma non è indicato il punto sull’Iva». La musica non cambia sull’Imu. «Ci sono due scadenze», ha spiegato Franceschini, «c’è una scadenza fissata dal Parlamento che prevede che si intervenga sull’Imu entro il 31 agosto e c’è una scadenza più ravvicinata per cui serve una decisione sull’Iva entro il 30 giugno: ci lavoreremo». Punto.

Per quanto riguarda il «fare», con tutta probabilità si tratterà di una serie di mini interventi sul lavoro che Letta vuole mettere nero su bianco per non presentarsi al Consiglio europeo a mani vuote. A quanto si apprende la bozza di decreto che i tecnici stanno mettendo a punto prevede meccanismi di decontribuzione e defiscalizzazione di oneri sociali in grado alleggerire il costo del lavoro per le imprese che assumono a tempo indeterminato. Il datore che stabilizza un rapporto di lavoro potrebbe godere di sgravi per uno o due anni. Una fonte parla di «un miliardo di risorse fresche». Ma i soldi sarebbero spalmati su 3 anni: 2-300 milioni di euro quest’anno e 400 per gli anni 2014 e 2015. A questi fondi si aggiungeranno i 4-500 milioni di euro previsti dalla Youth guarantee che la Commissione Ue è pronta a destinare ai paesi con alti tassi di disoccupazione a partire dal 2014. E che il governo punterà a sbloccare già da quest’anno. La dote complessiva da qui al 2015 potrebbe quindi arrivare a 1,5 miliardi. Da via Veneto spiegano che il ministro Enrico Giovannini vuole accelerare e, certamente, esporrà le linee guida del piano già venerdì nel vertice con i colleghi di Germania, Francia Spagna. «Sappiamo di dover aiutare le imprese ad utilizzare tutti gli strumenti, dal lavoro a termine all’apprendistato, ma occorre anche», ha detto il titolare del Welfare, «incentivare allungamenti della vita lavorativa, perché la risposta alla crisi non può essere fatta solo di contratti a brevissimo termine». Il ministro si è espresso anche sul «riorientamento» dei Fondi europei che l’Italia deve spendere entro il 2015: «Il governo sta lavorando per sostenere il Piano per l’occupazione giovanile, ma molti di questi fondi sono di competenza regionale e quindi serve anche il loro accordo».

Per il resto, nel decreto del fare potrebbero trovare spazio misure a costo zero sul fronte semplificazioni, come quello che prevede la telematizzazione dell’intero iter amministrativo della maternità, ma anche interventi per ridurre gli oneri burocratici delle imprese. Un pacchetto che, se attuato anche da Regioni ed enti locali, ha detto il ministro della Funzione pubblica, Giampiero D’Alia, «porterebbe un risparmio per le aziende di circa 8 miliardi».
Resta da capire cosa intende fare il governo sul fisco. In serata Saccomanni ha ribadito che sta «lavorando» su un rinvio dell’Iva e che «il governo manterrà gli impegni». Il tempo, però, è praticamente scaduto. E in assenza di interventi per bloccare l’aumento dell’aliquota dal 21 al 22% che scatterà a luglio, il rischio più che concreto è che il governo non solo non incassera i due miliardi di gettito previsti, ma ne perderà degli altri. Come dimostra uno studio del Sole 24 Ore, solo su tabacco, giochi e carburanti il combinato disposto della recessione e dell’aumento delle accise potrebbero far perdere al governo circa 3 miliardi di tasse alla fine dell’anno. Ancora più salato il conto dell’Iva. Una proiezione basata sul calo dell’8% che si è verificato nei primi 4 mesi dell’anno, senza tenere conto dell’effetto negativo sui consumi provocato da un eventuale aumento, stima che il buco da qui a dicembre sarà di 8 miliardi di euro.


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