martedì 11 giugno 2013

Braccio di ferro a Bruxelles per poter spendere

Dodici mesi dopo le dichiarazioni di Mario Monti, che sbandierava con orgoglio di avere già incassato il sostegno di Angela Merkel, l’Italia è di nuovo alle prese con la golden rule. Al di là di tutte le chiacchiere sui margini di manovra aperti dallo stop alla procedura di infrazione e considerate le previsioni catastrofiche sul Pil, con la ripresa che si allontana alla primavera del 2014, la speranza del governo di raggranellare qualche euro da destinare alla crescita è appesa alla possibilità che l’Europa ci consenta di scorporare dal deficit alcune spese per gli investimenti.

 A confermare che il braccio di ferro con l’Europa in vista del Consiglio Ue del 27 giugno ruota intorno a questa partita è stato ieri il ministro delle Infrastrutture, che dovrà battagliare in prima persona al fianco del premier Enrico Letta. L’Italia, ha spiegato Maurizio Lupi, in teleconferenza dal Consiglio trasporti di Lussemburgo, ha chiesto che le risorse versate per le grandi reti Ue transeuropee restino fuori di vincoli del trattato di Maastricht.
Il ministro ha spiegato che l’obiettivo è quello di tenere fuori dal conteggio del deficit la propria parte alle grandi reti Ue, cioè 33 miliardi di euro (5 miliardi nel 2013, 9 nel 2014 e 9 nel 2015). «Sono risorse fondamentali per realizzare i collegamenti dei corridoi come quello mediterraneo che va da Madrid a Kiev, sono fondi di reti Ue, perché devono rientrare in Maastricht?», ha detto Lupi. «È come se fosse un contributo che l'Italia dà alla Ue», ha aggiunto. La richiesta italiana riguarda «non la spesa cattiva ma quella buona per la crescita», e «le infrastrutture aiutano la Ue a uscire dalla crisi, che è un tema discusso su cui si lavorerà».

Sono quattro i «corridoi» che riguardano l’Italia: si tratta del corridoio Mediterraneo Madrid-Kiev (la tav rientra in questo progetto), quello che va da Helsinki a La Valletta, da Rotterdam a Genova e dal Baltico all’Adriatico. Sono progetti già avviati e già approvati dalla Ue, ritenuti «strategici» e sono quindi «spese circoscritte» secondo il ministro, che ha spiegato di aver avviato i lavori preparatori. La posta in palio non è di poco conto. Lupi spiega che, ad esempio, i 9 miliardi per le ten del 2014 peserebbero sul deficit per circa uno 0,15-0,20%. Se non venissero conteggiati, libererebbero altrettante risorse da spendere su altro.

Il problema, come sempre, è convincere gli euroburocrati. Sul dossier si sta lavorando da tempo e la Commissione tra qualche giorno farà la sua proposta dove si capirà cosa intende per «spese per investimento» scorporabili dal deficit. Il tentativo del governo è quello di ottenere che anche la quota italiana di cofinanziamento dei progetti europei volti a creare crescita e occupazione venga considerata almeno in parte investimento produttivo. Rientrano in questa operazione i 12 miliardi di cui parlava il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, qualche settimana fa. Secondo fonti di Palazzo Chigi, però, Enrico Letta punterebbe a chiedere lo scorporo di tutta la quota nazionale di investimenti cofinanziati, che ammonta a 31 miliardi. la battaglia, però, si dovrà vincere prima del Consiglio Ue. La proposta della Commissione è prevista per il 19 giugno. E le bozze che ricolano finora prevedono criteri così restrittivi sugli investimenti produttivi che l’Italia rischierebbe di restare a bocca asciutta.

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