«La Merkel è come un centravanti che continua a vantarsi di segnare nella porta della propria squadra. Lei sale nella classifica dei marcatori, ma noi perdiamo la partita». La metafora è cristallina. Così come, secondo Claudio Borghi Aquilini, è chiaro cosa dovrebbe fare il governo a Bruxelles. «Non amo sbattere i pugni», dice l'economista, professore incaricato all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, riferendosi al dibattito in corso in questi giorni, «e credo che Enrico Letta non ne avrebbe bisogno. I numeri sono così evidenti che non dovrebbero essere oggetto di negoziato».
E cosa dicono, professore?
«Che l'Eurozona è fortemente sbilanciata. C'è un surplus della bilancia commerciale incamerato dalla Germania ai danni degli altri Paesi dall'inizio dell'Euro di quasi 2mila miliardi. E la cosa non dovrebbe non piacere solo a noi. Tra gli obiettivi principali del Trattato di Maastricht c'è anche quello di azzerare gli squilibri nella bilancia dei pagamenti dei vari Paesi. Non è possibile che uno si tenga tutti i soldi, ne lasci zero agli altri e poi si permetta pure di sgridare chi è rimasto a bocca asciutta».
Penserà mica di convincere la Merkel con un grafico della bilancia commerciale?
«Non mi aspetto nulla dalla Germania. Mi aspetto però un inizio di considerazione dell'interesse nazionale. Questo significa andare dalla Merkel e dire: o restituite gli avanzi della bilancia commerciale, nella forma che preferite voi, o altrimenti, ci dispiace, ma o uscite dall'euro voi o usciamo noi».
Cosa sarebbe meglio?
«L'opzione preferibile è il recupero di sovranità monetaria da parte dell'Italia, quella più facile è l'uscita della Germania. Che rispetto all'Eurozona sarebbe un uscita dall'alto e quindi più semplice e indolore. Si creerebbe così un euro a due velocità, perché la Germania si porterebbe dietro i suoi Paesi satelliti e cioè Olanda, Austria, Finlandia e Lussemburgo».
Che fine farebbe il patto di stabilità?
«Diventerebbe carta straccia. Tanto lo è già. Qualcuno mi deve spiegare come l'Italia potrà tagliare di 50 miliardi l'anno il debito e crescere. Lo abbiamo già visto con Monti. Posso inventarmi tutte le tasse dell'universo, ma il debito è salito di 10 punti».
Crede che la nostra crisi è tutta colpa dell'euro?
«Se abbiamo una moneta del 25% più forte di quella che sarebbe giusta per la nostra economia è una cosa enorme. Significa che ogni prodotto che esce dalla nostra economia parte con uno svantaggio del 25 rispetto alla potenziale concorrenza tedesca. Possiamo parlare di Imu, di cuneo fiscale, di togliere punti di tassazione. Ma se abbiamo il sistema produttivo che parte con il 25% di handicap non potremo mai recuperare competitività».
Anche le tasse, però, contano...
«La leva fiscale è stata sicuramente usata in modo scriteriato. Se vediamo che l'aumento dell'Iva in questa situazione provoca una diminuzione del gettito, allora dovrei trovare la copertura per metterla e non per toglierla. L'uso delle tasse si è dimostrato fallimentare sia per quelle introdotte sia per quelle annunciate. Ma se io non risolvo lo squilibrio di cui parlavamo, anche immettendo soldi nel sistema, i consumatori italiani compreranno prodotti tedeschi».
Se non si riesce a convincere la Merkel a togliere le tende dobbiamo per forza farlo noi?
«Possiamo scegliere tra quattro opzioni che iniziano tutte per d. La prima è il default, che sarebbe drammatica, la seconda è devaluation, ovvero uscire noi dall'euro, che sarebbe la cosa migliore. La terza è deflation, vale a dire che per riuscire a risistemare questo gap di competitività e svalutare i nostri prodotti dobbiamo tagliare i salari. Il che significa che domani ci svegliamo e tutti gli stipendi e tutte le pensioni sono ridotte del 30-40%. La quarta d sta per Deutschland, ovvero l'annessione alla Germania. Se siamo così convinti che i tedeschi sono così bravi e belli allora votiamo per una sana annessione. Il rischio è che non ci vogliano».
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