L’unico che lo dice apertamente è Beppe Civati, rottamatore non renziano del Pd che ha votato Stefano Rodotà insieme ai grillini. «Quello che vedo», spiega, «è scheda bianca e poi una nuova linea per il Pd: una linea che ha un nome e si chiama Prodi». Ma le forze che in queste ore stanno manovrando per ripescare il nome del professore bolognese sono tante.
A partire dai grillini, che per adesso, ufficialmente, si attengono al percorso prestabilito, ma non escludono repentini cambi di direzione. «Noi andiamo avanti con Rodotà», ha detto il deputato Roberto Fico, aggiungendo, però, che il nome di Prodi potrà essere votato «solo se tutti i candidati M5S prima di lui (è arrivato ottavo alle Quirinarie, ndr) nella rosa dovessero rinunciare».
«Perché Prodi e non Rodotà?», gli fa eco il capogruppo dell’M5S al Senato, Vito Crimi, rispondendo ai giornalisti che gli chiedono se dalla quarta tornata elettorale i suoi sono disposti a dirottare i propri voti sull’ex premier. «Finora», spiega Crimi, «non abbiamo ricevuto segnali che Rodotà non sia un candidato valido. È il candidato migliore». E noi, aggiunge, «non possiamo disattendere le richieste degli iscritti di votare Rodotà. Noi siamo i portavoce dei cittadini. Non possiamo condizionare le nostre scelte a quelle successive».
Pur con mille distinguo e subordinate, insomma, la candidatura di Prodi è tra le opzioni dei grillini. Resta da capire cosa succederà dentro il Pd. È lì che il professore si gioca veramente l’incarico. Ed è da lì, non a caso, che è partito il siluro a Franco Marini. Prodiani, renziani, giovani turchi e persino alcuni popolari si sono fatti beffe dell’indicazione del segretario Pierluigi Bersani e hanno serenamente votato altro. Per poi, un secondo dopo, dichiarare chiusa la fase Marini. Tra le prime a cantare vittoria di fronte alla disfatta dell’ex presidente del Senato c’è, guarda caso, Sandra Zampa, parlamentare Pd e portavoce di Prodi. «I numeri parlano da soli», dice, «occorre prendere atto che l’orientamento emerso dal voto interpreta il sentimento dei nostri elettori e del Paese. Finché il campo non sarà sgombero dalla proposta Marini, si corre solo il rischio di bruciare altre candidature degne». Esplicito anche Matteo Renzi: «A questo punto è evidente. Marini è saltato». E la cinquantina di parlamentari che fanno capo al sindaco di Firenze ha le idee abbastanca chiare: la prima scelta, di bandiera, è Sergio Chiamparino. La seconda, quella vera, si chiama Romano Prodi. «Ho sempre detto», conferma il renziano presidente dell’Anci, Graziano Delrio, «che i criteri di autorevolezza internazionale e nazionale, di credibilità e di innovazione nella politica dovevano guidare la scelta del Presidente della Repubblica. Romano Prodi è il migliore». «Il suo nome», spiega del resto la Rosy Bindi, dei popolari del Pd, è in campo da sempre. Su di lui pesa il veto gridato in maniera becera dalle piazze berlusconiane». Ma «quello è il nome su cui può convergere il centrosinistra». Convergenza a cui parteciperanno senza indugi anche Centro democratico, Sel e, forse, la componente montezemoliana di Scelta Civica.
Nello sbriciolamento totale del partito provocato dalle mosse di Bersani, sembra, insomma, che ad ostacolare il ritorno del professore siano rimasti solo dalemiani, bersaniani e una parte dei popolari. Tra cui solo i primi, a questo punto, potrebbero evitare il blitz mettendo magari in campo lo stesso Massimo D’Alema o tentando un’ultima convergenza sul nome di Giuliano Amato.
Ipotesi, quest’ultime, che potrebbero anche trovare il sostegno del centrodestra. Di sicuro il Pdl lavorerà fino all’ultimo per sgambettare l’ex presidente del Consiglio. «Con Prodi al Colle andremo tutti all’estero», ha commentato solo qualche giorno fa Silvio Berlusconi da Bari.
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