martedì 9 aprile 2013

Su tasse, sindacati e Stato Meggie aveva capito tutto

Vista oggi la Gran Bretagna sembra un mondo alieno, lontano anni luce dalle pastoie burocratiche, il pansindacalismo e il welfare asfissiante del Vecchio Continente. Ma non è sempre stato così. E se non fosse stato per Margaret Thatcher, probabilmente, la società britannica sarebbe adesso poco diversa dalle ingessate e stantie democrazie europee.

 Un miscuglio di monetarismo, liberismo, supply side economics e tanto antistatalismo. Sono questi, in estrema sintesi, gli ingredienti della rivoluzione della Thatcher. Una miscela resa esplosiva dal carattere granitico della Lady di Ferro, che nel 1979, quando varcò la soglia di Downing Street, si trovò davanti un Paese allo sbando. «Teorie economiche errate, gruppi d’interesse radicati e un’avversione generalizzata per il libero mercato erano sfociati nella sclerosi economica, nell’inflazione, nella disoccupazione e nel declino generale», scrive Antonio Martino, economista e liberista doc.

La prima battaglia della Lady di ferro fu di carattere macroeconomico. Con trent’anni di anticipo rispetto alle teorie seguite oggi da tutte le banche centrali, la Thatcher mise in atto l’applicazione di una politica monetaria rigorosamente ispirata alla stabilità. In materia di tassazione, ci si riprometteva di ristabilire gli incentivi al lavoro, al risparmio e all’investimento, attraverso tagli a tutte le aliquote, in modo particolare quelle più alte. «L’aliquota fiscale massima sui redditi fu dimezzata durante il suo mandato, scendendo da oltre l’80% di quando s’insediò al 40%», spiega l’ex consulente economico di Reagan, Martin Feldstein.

Ma è successivamente che la Thatcher fece veramente la differenza. Lo scontro con i sindacati, lo smantellamento del costosissimo e onnipresente stato sociale britannico voluto nel dopoguerra da William Beveridge e un programma di privatizzazioni senza quartiere. Sono state queste le tappe di un percorso che ha ridisegnato fin dalle basi la società britannica, riportando l’individuo al centro della politica, attraverso un progressivo depotenziamento dei poteri corporativi e un rafforzamento dell’iniziativa privata, e alimentando la competitività del sistema imprenditoriale e finanziario, attraverso una robusta deregulation.

«La Thatcher», ricorda Martino, «ha osato fare ciò che in Gran Bretagna nessun altro aveva avuto il coraggio di fare per decenni: combattere le opinioni diffuse, i luoghi comuni, gli interessi radicati, e guidare un partito riluttante e un paese stordito in una direzione completamente nuova».
Il primo ostacolo al rinnovamento furono le associazioni sindacali, titolari all’epoca di uno strapotere che gli permetteva di dettare legge sia ai laburisti sia ai conservatori. La Thatcher mise fine a tutto questo con una legge che dichiarava lo sciopero illegale se non preventivamente approvato a voto segreto dalla maggioranza dei lavoratori e rendeva i capi sindacali civilmente responsabili dei danni provocati da agitazioni non conformi alle regole. La vera battaglia fu però quella sulla vertenza per la chiusura delle miniere nazionali di carbone, che da troppi anni stavano zavorrando con le loro perdite i bilanci pubblici. La guerra con i minatori iniziò la mezzanotte del 5 marzo del 1984, uno scontro aspro che durò fino al 1985, con la resa incondizionata del sindacato.

Nello stesso periodo la Thatcher avviò, con la vendita di British Telecom nel 1994, il primo grande programma europeo di privatizzazioni. Seguirono in rapida successione British Gas, British Airways, la Jaguar, la Rover e buona parte delle aziende di pubblico servizio. «È stato un programma così radicale come concetto, e di esito così felice nella pratica, che si è guadagnato la più alta forma di lusinga dalle altre nazioni: l’imitazione», ha detto l’economista Irwin Stelzer.
A trent’anni di distanza, la Thatcher viene celebrata sia a destra sia a sinistra. E non solo per i risultati in campo economico. Ma per la forza delle sue idee e della sua nuova visione del mondo.

Ha scritto ieri The Economist: «Solo una manciata di uomini politici in tempo di pace possono dire di aver cambiato il mondo. Margaret Thatcher è una di questi. Ha trasformato non solo il suo stesso partito, ma tutta la politica britannica». E ancora: «L’essenza del thatcherismo è stata quello di contrastare lo status quo e scommettere sulla libertà. Pensava che le nazioni potessero diventare grandi solo se gli individui fossero stati liberi. Le sue lotte avevano un tema: il diritto degli individui di seguire la propria vita, più liberi possibile dalla microgestione dello Stato». C’è ancora, però, chi non le ha perdonato la fine di un’epoca. «Oggi è un gran giorno», ha commentato ieri, senza preoccuparsi troppo del cattivo gusto, il segretario della Durham Miners Association, David Hopper.

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