«Oggi mi è stato offerto un compito che molto mi onorava anche se non faceva parte dei programmi della mia vita. Ringrazio coloro che mi hanno ritenuto degno di questo incarico. Il risultato del voto e la dinamica che è alle sue spalle mi inducono a ritenere che non ci siano più le condizioni». Presidente per un giorno. Dopo la clamorosa débâcle del quarto scrutinio, con oltre cento voti mancati all’appello, poco prima delle 21 Romano Prodi ha ufficializzato il suo ritiro.
«La scarica dei 101», «non è andata Mali», «non tutti i Mali vengono per nuocere», «di Mali in peggio». In serata restano solo gli sberleffi, la derisione, l’umiliazione. Ma la giornata del professore bolognese era iniziata in maniera trionfale.
Alle 9.30 del mattino un applauso fragoroso rompe la quiete di Piazza Capranica. Gli uomini del Pd sono tutti riuniti nel teatro. È l’ora delle decisioni irrevocabili. E Pier Luigi Bersani detta la linea: Romano Prodi. Giubilo ed esultanze. Standing ovation. I grandi elettori si spellano le mani e si preparano a votare compatti al quarto scrutinio per l’ex presidente della Commissione Ue.
Lui, il prescelto, è ancora ignaro. È partito giovedì sera da Parigi. Destinazione Mali, dove il prof è inviato dell’Onu per operazioni di peacekeeping. Bisogna avvertirlo. Il cellulare è spento. Ma c’è Claudio Burlando che ha un altro numero. Poco dopo le 10 il presidente della Liguria lo informa della decisione all’unanimità dell’assemblea del Pd. Il professore è su di giri. «Arrivo appena posso», dice raggiante Prodi da Bamako, la capitale del Mali. Il rientro era previsto per oggi a Bologna, via Parigi. Nessuno sa esattamente cosa sia successo in Africa. Ma c’è chi assicura che il suo staff si sia messo subito all’opera per tentare di anticipare il volo.
Mentre Prodi si gongola all’idea di piazzarsi per sette anni sul colle più alto della Capitale, in Italia è festa grande. Il fratello Quintilio non sta più nella pelle. «Per noi è una cosa decisamente emozionante. Siamo tanti fratelli e siamo sempre stati molto uniti», dichiara al Resto del Carlino. Mentre Cgil, Cisl e Uil di Bologna lo invitano alla festa del primo maggio. «Se davvero dovessimo avere a Bologna un presidente della Repubblica saremmo entusiasti di poter ricevere la sua visita», dicono.
Anche Bersani si lascia andare. «Si apre una nuova fase», dice il segretario Pd, «il disordine che abbiamo pubblicamente mostrato deve essere assolutamente ricomposto. Prodi qualifica la nostra coalizione e parla al Paese».
Dal Mali, però, riavutosi dalla sbornia, l’ex premier mostra cautela. E fa sapere che rientrerà solo nel pomeriggio del giorno successivo e su Bologna, non su Roma, così come era previsto. Prima di modificare i suoi piani, fanno sapere i suoi collaboratori, «è in attesa di vedere come evolve la situazione». Presagio di sventura che si rivela azzeccato. Poco prima delle 19 arriva il verdetto dell’aula: 78 voti per Cancellieri, 213 per Rodotà, 395 per Prodi. Il professore non solo non ha raggiunto quella che era definita una soglia psicologica, intorno ai 430-450 voti, ma è sprofondato rispetto ai 496 voti del centrosinistra che gli venivano accreditati sulla carta di 101 preferenze. È il caos. Il Pdl esulta. Il Pd va in fibrillazione.
Rosy Bindi, prodiana di ferro, fa sapere di essersi dimessa dall’assemblea nazionale del partito. «Il 10 aprile», dice, «ho consegnato a Bersani una lettera di dimissioni. Avevo lasciato a lui la valutazione sui tempi e i modi in cui rendere pubblica la decisione. Ma non intendo attendere oltre».
Poco dopo, sulla testa del segretario arriva anche la mazzata del professore. Prodi è su tutte le furie. Cinque anni fa, quando il suo governo fu battuto al Senato mentre venivano sventolate fette di mortadella, il prof aveva detto: «Ho chiuso con la politica italiana e forse con la politica in generale». Eppure, Prodi è tornato sul luogo del delitto. Ed è difficile immaginare un rientro in pista peggiore di quello di ieri. Sullo sfondo c’è ancora una volta lo spettro della congiura. Ma anche un responsabile, con nome e cognome. E l’ex premier, ora, vuole la sua testa. «Chi mi ha portato a questa decisione», tuona dal Mali, «deve farsi carico delle sue responsabilità». La rappresaglia contro Bersani prenderà forma già oggi nel corso del quinto scrutinio. Con tutta probabilità, infatti, i prodiani faranno convergere i loro voti, così come i grandi elettori di Sel, sul candidato di Grillo Stefano Rodotà. Ma c’è da scommettere che la vendetta del professore non si fermerà qui.
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