lunedì 15 aprile 2013

Da venerdì la corsa al Colle entra nel vivo

Da venerdì sera tutto può accadere. È questa, numeri alla mano, la linea di confine di un accordo politico preventivo sulla scelta del successore di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica. In assenza di un’intesa entro la sera del 19 aprile, infatti, l’asticella dei voti richiesti si abbasserà e, sulla carta, il Pd potrebbe essere in grado di imporre un suo candidato con il sostegno di un pugno di voti in più. Basterebbero quelli di Scelta civica.

 Ad aprire le danze è stata ieri mattina la presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha fissato la convocazione del Parlamento in seduta comune, con la partecipazione dei delegati regionali, per l’elezione del Capo dello Stato per giovedì alle 10.
Subito dopo l’annuncio della Boldrini si è iniziato a comporre il percorso delle operazioni preliminari. Domani, alle 12, si terrà un Ufficio di presidenza congiunto di Camera e Senato. All’ordine del giorno della riunione, che si terrà a Montecitorio, la verifica che tutto sia in regola sui grandi elettori. Nel pomeriggio, invece, alle 16, ci sarà la conferenza congiunta dei capigruppo di Senato e Camera, presso la Sala della Regina di Montecitorio. Quella sarà la sede per l’esame del calendario dei lavori del Parlamento in seduta comune.

Fare previsioni non è difficile. Ogni tornata elettorale, tra voto e spoglio, impiega dalle tre alle quattro ore. Il 10 maggio 2006, per eleggere Giorgio Napolitano, ci vollero 3 ore e 40 minuti. Dalle 9 e 40 del mattino alle 13 e 20, quando furono proclamati i risultati. In teoria, i tempi permetterebbero di fare anche tre o quattro votazioni al giorno. In pratica, di solito non se ne fanno più di due, anche perché senza un accordo politico l’arco temporale delle 48 ore può concedere più margini di manovra per le trattative.
Dopo la terza votazione, però, la partita cambia aspetto. Il quorum si abbassa e subentra la regola del «golden gol». Qualsiasi votazione diventa buona per chiudere definitivamente l’incontro.

A votare il capo dello Stato sono i grandi elettori, vale a dire tutti i deputati e senatori, più 58 delegati regionali (tre per regione, uno per la Val d’Aosta) eletti dai Consigli regionali. Il totale, quest’anno, fa 1007 votanti. Per le prime tre tornate elettorali in seduta comune alla Camera si può essere eletti solo con una maggioranza qualificata ovvero i due terzi degli aventi diritto. Il che significa che per passare servono almeno 671 voti. Dalla quarta in poi vale la maggioranza semplice: 504. Il che significa che il centrosinistra potrebbe eleggere «quasi» da solo il Capo dello Stato. Facendo la somma di deputati e senatori la coalizione guidata da Pierluigi Bersani arriva a 458, ai quali c’è da aggiungere l’apporto dei delegati regionali. In buona parte andranno al centrosinistra, ma non in misura sufficiente per superare quota 505. A quel punto, però, basterebbe un pugno di voti. O quelli di qualche dissidente o, e qui si andrebbe a botta sicura, quelli di Scelta Civica, che farebbero salire il pacchetto del centrosinistra oltre i 570 voti.

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