«Occhi da Caligola e labbra da Marilyn Monroe». Fu la celebre frase usata dal presidente francese Francois Mitterrand per descrivere Margaret Thatcher. E l’espressione racchiude bene l’essenza di una donna che, con i suoi abiti in stile Upim e le sue borsette, riuscì ad affermarsi con prepotenza in un mondo, quello della politica britannica, fino ad allora dominato dagli uomini. Una femminilità sottile ed energica, grazie alla quale dominava i maschi del suo gabinetto come una classe di scolaretti. «Non mi importa quanto i miei ministri parlino, fintanto che fanno ciò che dico», ebbe a dire nel 1987.
Lo stile di abbigliamento la rifletteva. Con tailleur austeri e spesso nemmeno costosi, il cui scopo era incutere rispetto. Ma non si potrebbe parlare della Thatcher senza parlare della sua borsetta. Il termine «handbagging» è entrato a far parte del dizionario inglese, con il significato di attaccare verbalmente qualcuno, di criticarlo, proprio grazie all’abitudine della Thatcher di posare la borsa sul tavolo ogni qualvolta voleva concludere un discorso importante. Qualche volta anche per interrompere quelli degli altri. Come accadde nel febbraio del 1975, quando, appena eletta alla guida del partito conservatore, ascoltando un incontro in cui si proponeva la linea del compromesso, tirò fuori dalla borsetta il libro La società libera di Friedrich August Hayek e, dopo averlo sbattuto sul tavolo, disse: «Questo è ciò in cui crediamo».
Lo stile della Lady di ferro era in qualche modo come la sua politica: una rottura totale degli schemi.
La battuta tagliente, l’ironia sferzante, il linguaggio diretto. Non c’era contesto in cui la Thatcher non uscisse a testa alta, mettendo all’angolo i suoi interlocutori. Così si presentò durante un convegno del 1976: «Qui davanti a voi questa sera nel mio abito da sera in chiffon verde, il mio viso dolcemente composto, i miei capelli biondi leggermente agitati. La signora di ferro del mondo occidentale? Me? Un guerriero della guerra fredda? Beh, sì. Se questo è il modo in cui desiderano interpretare la mia difesa dei valori e delle libertà fondamentali».
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