giovedì 28 marzo 2013

Monti scappa mentre il Paese affonda

Sarà una coincidenza, ma tra le molte castagne che Mario Monti ieri ha deciso di lasciare sul fuoco c’è anche la rimozione del relitto della Costa Concordia. Gli ultimi scampoli di governo, del resto, ricordano molto da vicino le gesta del comandante Schettino mentre cercava con determinazione di abbandonare la nave.

La sintesi badogliana della giornata arriva dalla bocca dello stesso premier. «Questo governo non vede l’ora di essere sollevato», ha detto il Prof senza mezzi termini durante l’intervento alla Camera sui marò. Una vicenda, questa, su cui Monti ha cercato di scaricare tutto il fango possibile sull’ex ministro degli Esteri Terzi, accusandolo di essersi dimesso per «altri obiettivi», di «aver condiviso le decisioni del governo» e di non aver utilizzato la sua «indipendenza» e «i suoi margini di movimento» per discutere o contestare le scelte di Palazzo Chigi. Quanto al merito, la linea del presidente del Consiglio è che i due marò andavano rispediti in India perché in caso contrario «sussistevano rischi seri e oggettivi che l’Italia si trovasse isolata nella comunità internazionale». Come se per il nostro Paese non fosse possibile mettere in moto la macchina della diplomazia e delle pressioni politiche per ottenere le necessarie sponde in Europa e Oltreoceano.

Ma la fuga del premier è iniziata fin dalla mattina con il rinvio, a questo punto al prossimo esecutivo, di una serie di nodi su cui tutti si aspettavano una rapida risoluzione. Tre le questioni sul tavolo del governo: tares, golden share e Costa Concordia. Zero le decisioni prese.
Sulla nuova tassa sui rifiuti (introdotta lo scorso anno dal governo) il cui pagamento è già stato rinviato a luglio, Monti si è trovato schiacciato tra le istanze dei Comuni, che premono per incassare al più presto il corrispettivo per i servizi locali, e quelle della popolazione, che prima dell’estate, tra Iva, Imu e Tares, si vedrebbe piombare sulla testa una ulteriore stangata di circa 5 miliardi. Piuttosto che andare in una qualsiasi direzione il Prof ha preferito restare fermo. Niente proroga per la Tares, e niente ripescaggio della Tarsu e della Tia (le vecchie tasse sui rifiuti). Il decreto preparato nei giorni scorsi dal ministero dell’Ambiente per disinnescare almeno in parte la mina non ha ottenuto il via libera del Consiglio dei ministri, e il problema resta pienamente al centro della scena.

E l’immobilità è stata la soluzione scelta anche per la golden share. La questione è al vaglio del governo non da ieri, ma dal marzo 2012, quando è stato varato il decreto legge di riforma per superare la procedura d’infrazione aperta da Bruxelles. Da allora il Dpr attuativo con l’indicazione dei settori che rientrano nel perimetro delle attività considerate strategiche per l’interesse nazionale e quindi tutelate dall’azione d’oro in capo al governo non è mai arrivato. Il testo ieri sembrava pronto. Nella bozza di regolamento erano stati inseriti la rete di Terna, la rete di trasporto del gas di Snam, comprese le stazioni di pompaggio e le infrastrutture di approvvigionamento da stati non Ue, la rete ferroviaria, i porti e gli aeroporti di interesse nazionale ed infine le attività di gestione e la rete telefonica di accesso agli utenti finali e le reti dei corpi militari e di polizia. Ma all’ultimo momento il governo avrebbe ritenuto, stando a quanto risulta, che tale materia non rientra nell’ordinaria amministrazione a cui l’azione dell’esecutivo dimissionario deve limitarsi. Quindi, nulla di fatto.
E un rinvio è arrivato anche sulla questione della Costa Concordia. Il relitto, che è ormai arenato a largo dell’Isola del Giglio dal gennaio dello scorso anno, rimarrà esattamente dov’è ancora a lungo. Il discusso decreto messo a punto dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che individuava in Piombino la sede per il trasferimento e il successivo smaltimento del relitto unitamente ad una serie di interventi di riqualificazione del porto non ha infatti ricevuto il definitivo via libera.
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