In attesa dell'assemblea degli eletti prevista per lunedì, in cui i neo senatori e deputati del Pd faranno il verso ai grillini, a tenere alto il morale dello schieramento di centrosinistra ci pensa il fratello del leader. Intervenuto alla trasmissione di Radio2 Un giorno da pecora Mauro Bersani ha fatto chiaramente capire quante chance attribuisce ad un governo guidato da Pier Luigi. Ce la farà, gli chiedono, a mettere in piedi un esecutivo? Eloquente la risposta: «Io ho un'idea ma non posso dirla, sennò mi caccia via di casa». Mauro ammette di non essere per natura un ottimista, ma sul ruolo del segretario sfiora la derisione. «Sicuramente è molto dura, però io penso che lui stia dando più che altro una testimonianza». In ogni caso, il segretario deve andare avanti, anche a costo di andare a sbattere. «Sbattere ci vuole», spiega Mauro Bersani, «perché bisogna che gli scandali si manifestino fino in fondo».
Intanto cresce l'attesa per il summit di lunedì prossimo al teatro Capranica di Roma. Alle 14.30 Bersani, questa volta Pier Luigi, riunirà tutti gli eletti del Pd in una kermesse che si preannuncia dal sapore grillino. Sul tavolo, infatti, non c'è alcuna decisione importante da prendere. Sarà solo l'occasione per conoscersi o ritrovarsi, a seconda dei casi. Quella sede, troppo allargata, è considerata inadeguata ad affrontare il nodo della presidenza delle Camere. Martedì e mercoledì dovrebbero essere i giorni decisivi. Per arrivare a giovedì, quando si riuniranno di nuovo, ma separatamente, deputati e senatori, con qualche cosa in mano.
La nebbia, comunque, è ancora fitta. Ieri il vicesegretario Enrico Letta ha raccolto l'appello del capo dello Stato, spiegando che Napolitano «ha ragione, c'è bisogno di avere un governo in tempi rapidi perché lo scudo di Draghi della Bce non è eterno e, soprattutto, serve per riuscire a fare delle cose».
Niente voto, dunque, come proposto dal segretario Pdl, Angelino Alfano. In questo momento, ha detto Letta, «c'è di bisogno di buon senso». Il Pd ha «un atteggiamento aperto nei confronti di tutte le forze presenti in Parlamento» e se fossimo in Germania e ci fosse la Merkel, ha aggiunto, «un governo di grande coalizione sarebbe l'ideale, sarebbe perfetto. Purtroppo siamo in Italia e c'è Berlusconi. La vedo complicata».
Tutto tace, invece, sul fronte di Bersani. Dopo aver incassato l'ok della direzione, il segretario del Pd punta a consolidare la propria candidatura in vista delle consultazioni con il capo dello Stato. La strada è strettissima, ma il leader della coalizione resta ancora convinto che non sia una missione del tutto impossibile quella di riuscire a portare a casa un governo di minoranza.
Nel frattempo, però, si moltiplicano i piani B per quando arriverà il no formale di Grillo. Il primo, che circola da giorni, è quello di un governo del presidente. L'ipotesi, però, non sembra gradita a tutti dentro il Pd perché significherebbe comunque imbarcare nell'avventura anche il Pdl. Il secondo, ispirato da ambienti vendoliani, prevederebbe un passo indietro di Bersani, per lasciare spazio ad un tecnico di sinistra (si pensa a Fabrizio Barca) che possa riuscire a raccogliere anche il sostegno dell'M5S.
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