«Nessuna marcia indietro». È questo il messaggio che Antonio Tajani fa recapitare alla politica italiana, dove ieri è circolata con insistenza la notizia di un clamoroso dietrofront della Commissione europea sulla flessibilità di bilancio concessa all’Italia per saldare i debiti pregressi della Pa nei confronti delle imprese. «Quello che io e il commissario agli affari economici Olli Rehn abbiamo sostenuto nella dichiarazione dello scorso 18 marzo non cambia di una virgola», spiega a Libero il vicepresidente della Commissione Ue.
Ieri, però, lo stesso Mario Monti, parlando in Parlamento della nota di aggiornamento al Def per modificare i saldi della finanza pubblica ha detto che da Bruxelles non è arrivato un «via libera illimitato ad un aumento del debito pubblico e del deficit»...«Ripeto: la posizione della Commissione non è cambiata. Il problema è che si fa confusione tra deficit e debito. La flessibilità, in linea con lo spirito della direttiva Ue sui pagamenti, può essere applicata sull’indebitamento, ma questo non significa che si possa fare i furbi sul disavanzo. Tanto più che l’Italia, come è noto, deve ancora uscire dalla procedura d’infrazione».
Ma da dove arrivano le perplessità emerse ieri?
«L’annuncio del governo di un impatto dello 0,5% sul deficit dall’operazione con cui si prevede di restituire 40 dei 70 miliardi di debiti complessivi nei confronti delle imprese ha creato alcune perplessità tra i tecnici di Bruxelles che vigilano sul rispetto del patto di stabilità. Il disavanzo italiano salirebbe, infatti, nel 2013 al 2,9%, molto vicino alla soglia del 3%».
Se i margini sono così stretti perché ha invitato l’Italia ad agire con più determinazione nell’abbattimento del pregresso?«Perché i margini non sono affatto stretti. Bastava modulare i pagamenti su un arco temporale differente, facendo in modo che per il 2013 il deficit restasse ancorato ad un 2,7-2,8%. Non solo. Bisogna considerare che l’impatto sul deficit dello stock di debiti pregressi è molto limitato. Parliamo di un 20% del totale, praticamente si tratta di 14-15 miliardi».
Sta dicendo che non è stato fatto tutto il possibile?«Il governo ha giocato d’anticipo sul recepimento della direttiva Ue sui pagamenti per quanto riguarda il futuro, ma sul passato c’era la possibilità di fare di più. Io e Rhen abbiamo offerto la disponibilità della Commissione di confrontarci su un piano di rientro. Abbiamo anche chiesto di conoscere l’entità dell’ammontare. L’esecutivo italiano ha deciso di andare avanti da solo. Il rischio è quello che abbiamo visto ieri. Una preoccupazione eccessiva di Bruxelles sulla capacità dell’Italia di mantenere fede agli impegni».
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