Finalmente se n’è accorto anche Giorgio Napolitano. «Le misure per sbloccare i pagamenti della Pa sono urgenti». Dietro la discesa in campo del capo dello Stato c’è sicuramente lo zampino del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che ieri si è recato in visita al Quirinale. Ma questo non toglie nulla alla netta presa di posizione di Napolitano sulla clamorosa anomalia di uno Stato che incassa, ma non versa. Anche e soprattutto in tempo di crisi, con le aziende che muoiono come mosche proprio a causa della mancanza di liquidità.
È indispensabile, ha detto il presidente della Repubblica, «sollevare le imprese da una pesante condizione anche sul piano delle disponibilità finanziarie». Per questo sono «urgenti» e «improcrastinabili» misure come «quelle volte a rendere possibile lo sblocco dei pagamenti dovuti dalle Pubbliche amministrazioni ad una vasta platea di aziende».
Parlare di urgenza sui pagamenti della Pa, in effetti, fa un po’ sorridere. Basti pensare che nelle transazioni commerciali tra Pubblica amministrazione e imprese private i tempi di pagamento medi presenti in Italia sono pari a 180 giorni e nella sanità si arriva a pagare anche dopo 4/5 anni, soprattutto al Sud. Inutile dire che la media Ue è pari a 65 giorni. «Se a questa situazione», ha detto il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, «aggiungiamo la stretta creditizia in atto e gli effetti della crisi economica che continuano a farsi sentire in misura sempre maggiore, la tenuta finanziaria delle imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione, è a rischio con ricadute occupazionali negative facilmente prevedibili». Tanti annunci e pochi fatti, si diceva. Nemmeno l’entrata in vigore del decreto di recepimento della Direttiva Europea contro il ritardo dei pagamenti, avvenuta il primo gennaio scorso, sembra aver sortito effetto. «Stando alle segnalazioni che ci sono giunte da molti piccoli imprenditori», ha spiegato Bortolussi, «la nostra Pubblica amministrazione non starebbe rispettando i tempi di pagamento previsti dalla legge».
Quanto al pregresso, la situazione, al di là degli interventi sbandierati a più riprese dal governo Monti, è in una fase di stallo assoluto che definire grottesca è poco. Degli oltre 70 miliardi di euro di crediti che le imprese vantano dallo Stato, secondo le rilevazioni fatte dalla Cgia, ne sarebbero stati liquidati appena 3 milioni di euro. A questo ritmo in un anno lo Stato riuscirà a pagare attorno ai 36 milioni di euro. Una cifra «considerevole», che permetterebbe di smaltire l’intero stock di arretrati in appena 1900 anni, poco meno di due millenni. Una situazione «che ha dell’increscioso», hanno commentano gli artigiani, che annoverano, tra le ragioni di questo «flop», sia la difficoltà di certificare i crediti, «ostacolo che ha scoraggiato moltissime imprese a presentare la domanda», sia i ritardi nella messa a punto della piattaforma informatica, che ha il compito di collegare il sistema creditizio con la Pubblica amministrazione. A questo si aggiungono le «non poche società ed enti pubblici che non si sono ancora iscritti al portale, bloccando il funzionamento dell’intera operazione».
Tanto per avere un’idea di cosa sta provocando il blocco dei pagamenti basti pensare che nel 2012, 47mila aziende non individuali, tra quelle che sono riuscite a sopravvivere alla crisi, hanno accusato protesti di fatture o cambiali. Si tratta del record di sempre è rispetto al 2007, ultimo anno pre-recessione, la crescita è del 45%.
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