sabato 2 marzo 2013

Pil, lavoro, debito, tasse: l'Italia è ko

È difficile scegliere da dove iniziare. La raffica di dati snocciolata ieri dall’Istat va dai conti pubblici all’economia reale, passando per il fisco e l’occupazione. Da qualunque angolazione si guardino le cifre, però, il risultato non cambia. La fotografia scattata dall’Istituto nazionale di statistica riporta l’immagine di un Paese che oggi, e non un anno fa come molti continuano a ripetere, è davvero sull’orlo del baratro. E non si tratta di spread impazziti o di Borse volubili. I mercati non c’entrano. Dietro i numeri dell’Istat ci sono imprese che chiudono, famiglie che non riescono ad andare avanti, tasse che soffocano. E in tutto questo i conti dello Stato, per quanti sacrifici possano fare gli italiani, continuano a non tornare.

Gli indicatori più drammatici sono quelli relativi al mondo del lavoro. L’asticella della disoccupazione si è attestata, a gennaio, all’11,7%. Percentuale impressionante e mai vista, almeno dal 1992, quando l’Istat ha iniziato a registrare gli andamenti mensili e trimestrali. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha definito i dati «agghiaccianti». L’aggettivo è adatto a descrivere la quota di disoccupazione giovanile, balzata al 38,7%, con picchi del 50% nel Mezzogiorno. In termini assoluti il numero di senza lavoro a gennaio sfiora i 3 milioni di unità, con un balzo del 3,8% rispetto a dicembre e addirittura del 22,7% rispetto a gennaio del 2011. Si tratta di 554mila disoccupati in più.

L’economia reale
Le cose non vanno meglio sul fronte dell’economia reale. Qui i numeri riportati dall’Istat assumono le sembianze di un vero e proprio bollettino di guerra. Nell’intero 2012 la spesa per consumi finali delle famiglie ha mostrato una contrazione dei volumi del 4,3%, dopo essere risultata quasi stabile nel 2011 (+0,1%). Il calo è stato particolarmente marcato per i beni (-7%), mentre la spesa per i servizi ha registrato una diminuzione dell’1,4%. In termini di settori, la stretta più accentuata ha riguardato la spesa per vestiario e calzature (-10,2%) e quella per i trasporti (-8,5%). Devastante l’andamento delle immatricolazioni di auto, che a febbraio, secondo le rilevazioni effettuate dal Centro studi Promotor, hanno subito una contrazione del 17,41% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Livello che riporta il mercato italiano ai volumi di vendita degli anni ’70. L’unica notizia leggermente positiva è l’allontanamento, almeno per ora, dello spettro della stagflazione. La prospettiva rara e catastrofica della concomitanza di recessione e aumento dei prezzi, paventata da molti osservatori, è stata smentita ieri dall’andamento dell’inflazione, che a febbraio ha registrato un nuovo calo (il quinto consecutivo), portando l’indice a +1,9% dal 2,2% di gennaio. Un valore che, in linea con l’andamento recessivo dell’economia, porta il livello dei prezzi al minimo dal dicembre 2010. In controtendenza la benzina, che a febbraio ha registrato un +2,3% su gennaio e +3,4% sul 2011 per la verde. mentre il gasolio è aumentato rispettivamente dello 0,9% e dell’1,4%.
Inevitabili, e durissime, le ripercussioni sulle imprese. Gli investimenti sono crollati dell’8% e le importazioni dell’8%. Robusta frenata anche per l’export, che non è andato oltre un +2,3%. In picchiata la produzione, che a febbraio, secondo il Centro studi di Confindustria, è calata ancora dello 0,2% su base mensile e del 2,1% su base annua. Nell’intero 2012 il crollo è stato del 6,6% rispetto ad un -1,7% registrato nel dicembre 2011.

La finanza pubblica
A zavorrare la vita di famiglie e imprese ci hanno pensato, inutile dirlo, i governi, con un carico di tasse che avrebbe messo in ginocchio anche un’economia ben più florida e competitiva della nostra. Il peso del fisco rilevato dall’Istat nel 2012 è del 44% sul Pil. Un aumento record di 1,4 punti percentuali rispetto al 2011. Ma l’asticella della pressione reale, quella che si ottiene tenendo conto anche dell’economia sommersa, raggiunge quota 55,5%, in forte rialzo rispetto al 51,6% registrato alla fine del 2011. Con un tale carico di balzelli si potrebbe pensare che almeno lo Stato sia riuscito a far quadrare il suo bilancio. E invece, come ripetono da mesi i critici delle politiche di austerity che riscuotono tanto successo sia in Italia sia in Europa, il peso del fisco ha depresso a tal punto il Paese da rendere del tutto insufficienti le continue correzioni dei conti. Con il Pil sceso del 2,4% nel 2012 appare evidente che il meccanismo innescato dal rigore è un circolo perfettamente vizioso. Un cane che si morde la coda. Il debito al lordo dei contributi ai fondi Salva-Stati è infatti schizzato al 127% del prodotto interno lordo, oltre sei punti percentuali in più rispetto al 2011.

Stangate inutili
L’incremento delle entrate dovuto sia alle imposte indirette (+5,2% con Imu e accise) che alle dirette (+5,2% con l’Irpef e le addizionali regionali) non è dunque bastato a contenere il debito, che è salito ad un livello mai rilevato dall’Istat (dall’inizio delle serie storiche nel 1990) e che supera, anche se di poco, le stime del governo. Il deficit è invece rientrato per il rotto della cuffia nei parametri europei, attestandosi al 3%. Numero tondo che lascia presagire una possibile, archiviazione della procedura per deficit eccessivo aperta nel 2009 dall’Unione europea, ma che comunque non soddisfa del tutto le aspettative. Soprattutto quelle del governo, che prevedeva un rapporto al 2,6%. Tanto per gradire, ieri a fine serata è arrivata anche la nota del Tesoro che ha certificato l’impennata del fabbisogno a febbraio, a circa 12,5 miliardi dai 7,9 dello stesso mese del 2012. Sul dato pesano per 2 miliardi i Monti-Bond e per 4 miliardi gli incassi registrati un anno fa con il passaggio alla Tesoreria Unica, quando Monti per fare cassa obbligò Regioni ed enti locali a trasferire alla tesoreria centralizzata presso la Banca d’Italia le proprie giacenze. Al netto dello scippo e del prestito ad Mps, spiegano ora dal Tesoro, il fabbisogno sarebbe migliore di 1,5 miliardi. Bella forza.
A complicare la situazione, infine, ci sono pure i mercati. La Borsa di Milano ieri è stata di nuovo la peggiore d’Europa, con un calo dell’1,54%. E Fitch ha messo in guardia il Paese: «Le incognite del dopo voto aggiungono ulteriore zavorra su un’economia già indebolita».



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