mercoledì 13 marzo 2013

Sui costi del partito il Pd si affida ai giudici

Matteo Renzi continua a smentire qualsiasi attività di dossieraggio, sostenendo che le polemiche interne adesso non hanno senso. Ma la bomba è ormai esplosa. Dopo le anticipazioni del Corriere della sera, che hanno già scatenato la minaccia di querele da parte del presidente del Pd, Rosy Bindi, e del Sole 24 Ore, ieri il documento con i dettagli voce per voce delle spese del partito è stato pubblicato in versione integrale da Dagospia, facendo deflagrare definitivamente l’ordigno.

Retribuzioni, prebende, doppi incarichi, benefit. Il dossier descrive la macchina del partito fin nei minimi dettagli. A partire dalla struttura di vertice. Secondo il report, Pier Luigi Bersani ha un capo segreteria (Zoia Veronesi) con uno stipendio di 90mila euro lordi all’anno, oltre a 4 segretarie con una retribuzione mensile oscillante tra i 1.200 e i 2mila euro. Ma lo staff del segretario è ancora molto nutrito: il portavoce Stefano di Traglia guadagna intorno ai 4mila euro, il capo ufficio stampa Roberto Seghetti sui 5mila mentre il suo vice la metà. A ciò si aggiunge l’ufficio stampa del partito, composto da 14 persone assunte a tempo indeterminato e pagate non meno di 1500 euro al mese. Il vicesegretario Letta, si legge sul sito di Roberto D’Agostino, «ha due collaboratori (ha 4 segretari assunti a tempo indeterminato dal Pd dai 1500-4000 euro). La presidente Rosy Bindi ha tre segretarie (già assunte dal Pd a tempo indeterminato dai 1600-1900 euro). Ha una addetta stampa, Chiara Rinaldini, e un altro collaboratore pagato dalla vicepresidenza della camera».

La segreteria, sempre secondo Dagospia, è invece composta da 12 persone, si tratta di incarichi politici retribuiti con contratti a tempo determinato di circa 3.500 euro al mese, più l’alloggio per chi non è di Roma.
Il Tesoriere Antonio Misiani (non retribuito in quanto deputato) è a capo dell’amministrazione (6 persone di cui due segretarie, 3 amministratrici e un dirigente.). Il dirigente è Trevisonno ( 5.000 euro a tempo determinato, si occupa anche della gestione delle spese della festa democratica), le segretarie (1800-2000), gli amministrativi (1800- 2500).
E poi a scendere c’è l’organizzazione guidata da Stumpo (6.000 euro al mese a tempo indeterminato), con tutti i suoi dipartimenti. Si va dagli enti locali guidati da Zoggia (3.500 più alloggio), all’economia di Fassina (3.500), alla comunicazione di Orfini (3.550) e via dicendo. Fino al numero totale dei dipendenti del partito, che si aggira sulle 180 unità.

Nomi e numeri che hanno fatto infuriare più di un dirigente. Matteo Orfini, intervenuto alla trasmissione di Radio2 Un giorno da pecora ha già annunciato battaglia. «Ho visto che Dagospia ha pubblicato il dossier e credo che noi del Pd quereleremo Dagospia. Stanno valutando gli avvocati, perché nel dossier ci sono molte cose false». L’intenzione è confermata da Antonio Misiani, che elimina i condizionali. «Più che un dossier», ha tuonato il tesoriere del Pd, «siamo di fronte ad una patacca che contiene una quantità di informazioni errate e di cifre campate per aria». Contro quello che viene definito «uno squallido dossier», Misiani ha annunciato di aver dato «mandato ai legali di mettere in atto tutte le azioni necessaria in sede civile e penale».
Mentre nel Pd indossano gli elmetti, il presunto piromane invita alla calma e al senso di responsabilità. «Per me il finanziamento pubblico ai partiti va a bolito, lo dico dalle primarie», fa sapere Renzi su Twitter e Facebook, ma adesso, ha spiegato il sindaco di Firenze, «le polemiche interne non hanno senso, pensiamo all’Italia, non a noi». Quanto al dossier, Renzi nega la paternità, ma non la sostanza. «Non so se abolire il finanziamento serva a far pace con Grillo», si legge sui social network, «sicuramente serve a far pace con gli italiani che hanno votato un referendum e che anche alle elezioni ci hanno dato un segnale».
E serve molto, secondo il sindaco di Firenze, anche ad aiutare l’azione del segretario del Pd. «Nessuno vuole sabotare il tentativo di Bersani», ha assicurato candidamente Renzi, «anzi, l’Italia ha bisogno di un governo, prima possibile». E paradossalmente, ha proseguito, «se Bersani accettasse di abolire il finanziamento ai partiti forse avrebbe qualche chance in più, non in meno, di farcela. Decida lui, comunque: a me non sta a cuore la discussione di corrente, ma sta a cuore l’Italia».

La risposta del segretario non si è fatta attendere. «Siamo prontissimi a fare una nostra proposta sulla rivisitazione del meccanismo del finanziamento pubblico», ha detto, «Ma non siamo dell’idea, come nessuno in Europa, che la politica vada data ai miliardari».
Ad alimentare un altro po’ il clima di distesa armonia che regna dentro il Pd c’è anche una notizia che ha un po’ il sapore della beffa per Bersani. Mentre il partito minaccia querele contro l’operazione di dossieraggio c’è chi, come il «renziano» Davide Serra la denuncia l’ha fatta per davvero. Il segretario del Pd è infatti indagato per diffamazioni per le frasi rivolte al finanziere («una certa finanza di banditi tra virgolette», «chi ha base alle Cayman non potrebbe dare consigli») dopo la sua partecipazione ad un incontro con il sindaco di Firenze durante le primarie.

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