sabato 16 marzo 2013

Debito e tasse volano. Chiudono 7 negozi all'ora

Mentre in Europa si continua a ripetere il mantra del rigore a tutti i costi e in Parlamento Beppe Grillo gioca a nascondino con Pier Luigi Bersani, l’Italia si è ormai completamente inabissata nella spirale recessiva. Il debito sale, le tasse pure. E le imprese muoiono, a ritmi mai visti prima.

A mandare in frantumi il miraggio dei conti in ordine dopo un anno di sacrifici ci pensa il consueto bollettino di Bankitalia, che a gennaio ha registrato l’ennesimo record del debito pubblico. Il balzo non è di poco conto. L’indebitamento delle amministrazioni pubbliche è aumentato, a gennaio, di 34 miliardi rispetto al mese precedente, raggiungendo il nuovo massimo storico di 2.022,7. Ad appesantire i il bilancio dello Stato ha contribuito il fabbisogno, pari a 0,9 miliardi. Ma i conti non tornano. Come spiega la stessa banca centrale, infatti, l’emissione di titoli sopra la pari e l’apprezzamento dell’euro nel complesso hanno operato in senso opposto, facendo risparmiare al Tesoro 0,5 miliardi. Se a questo si aggiungono le entrate, che ha gennaio sono ammontate a 30,75 miliardi, in aumento dello 0,8% (+0,2 miliardi) rispetto allo stesso mese del 2012, si capisce bene che il controllo della spesa sbandierato dai tecnici è solo un’illusione.

Ancora peggio vanno le cose se si usa il criterio della competenza, utilizzato dal Tesoro, in luogo di quello per cassa, utilizzato da Bankitalia. Il ministero dell’Economia ieri ha diffuso il dato definitivo sul fabbisogno di gennaio, con una correzione al rialzo rispetto alla stima preliminare. Grazie, come aveva spiegato il Tesoro a febbraio, ai minori interessi sul debito pubblico, il dato è migliore di quello del gennaio 2012 (-3.298 milioni). Tra entrate e uscite resta comunque uno scollamento sensibile di 2.437 milioni. Il numeri parlano chiaro. Il governo Monti, secondo i calcoli di Adusbef e Federconsumatori ci ha lasciato in dote una quota di debito aggiuntivo di 2.340 euro a testa, neonati inclusi.
A fronte di una finanza pubblica che continua a fare acqua, l’economia reale sprofonda nel baratro. Avevamo chiuso il 2012 con il dato impressionante fornito da Unioncamere di circa 1.000 imprese chiuse al giorno. Il 2013 inizia, invece, con 10mila negozi spariti nel nulla. L’allarme arriva dalla Confesercenti, secondo cui tra il primo gennaio e il 28 febbraio hanno chiuso i battenti 13.755 negozi, mentre le aperture sono state 3.992, per un saldo negativo di 9.783 imprese. Di fatto, spiegano da Confesercenti, sono scomparsi 167 negozi ogni 24 ore. Se il trend restasse invariato, a fine anno ci sarebbero 60mila imprese in meno e altri 200mila lavoratori in mezzo alla strada. La situazione è drammatica anche per gli esercizi pubblici. Nel primo trimestre chiuderanno più di 9.500 tra bar, ristoranti e simili, per un saldo finale negativo di 6.401 unità.

Nessuno, chiaramente, rimpiazza gli imprenditori che sono costretti a cessare l’attività.
La crisi uccide chi è già sul mercato e soffoca allo stesso tempo le nuove aperture. Nel primo trimestre, secondo le stime della Confesercenti, saranno in tutto 5.988, il 50% in meno dei 11.884 nuovi negozi dei primi tre mesi del 2012. Si tratta del dato peggiore degli ultimi 20 anni. Maglia nera è Roma, con 553 chiusure e un saldo negativo di 392 imprese commerciali. Seguono Torino (306 cessazioni, saldo negativo di 231 unità) e Napoli, dove ad abbassare la serranda sono stati 238 negozi, per un saldo finale che ha visto scomparire 133 imprese. A livello geografico, i risultati peggiori si rilevano al Centro-Nord, che registra 7.885 chiusure a fronte di 2.054 aperture. Sud e Isole sembrano resistere un po’ di più, con 5.890 cessazioni e 1.938 nuove iscrizioni.

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