L'arma con cui il fisco metterà all'angolo il contribuente è costituita dall'inversione dell'onere della prova, dove è l'accusato a dover dimostrare di essere innocente e non viceversa. A metterci lo zampino è stata la Corte di Cassazione, che lo scorso luglio, contraddicendo se stessa (sentenza del giugno 2011) ha stabilito che le presunzioni del redditometro hanno una natura legale. Ed ecco il punto, a differenza della presunzione semplice, che richiede la contestuale presenza di indizi gravi, precisi e concordanti, che devono essere dimostrati dal fisco e possono essere messi in discussione davanti ai giudici, la presunzione legale non permette altra difesa se non la produzione di documentazione a propria discolpa. Cosa che, ed è per questo che il principio non si applica né agli studi di settore ne al vecchio redditometro, risulta praticamente impossibile se il reddito viene presunto sulla base di coefficienti e non di spese reali. In verità, il nuovo redditometro si propone di catalogare e classificare tutto, ma è chiaro che così non sarà. Come scrive la stessa Agenzia delle entrate, «il reddito complessivo può essere determinato sinteticamente basandosi sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva desunto dall'analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale». In altre parole, si utilizzeranno criteri statistici e standardizzati. E ancora: «Alle voci di spesa è stato attribuito un coefficiente che misura la relazione tra il reddito e l'elemento di spesa conosciuto e gli altri elementi non conosciuti. Tramite il modello si ricostruiscono le informazioni mancanti». Dimostrare di non aver effettuato una spesa prodotta a tavolino da un software non sarà semplice.
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