«Libertà di non rispondere, licenza di vessare». Il presidente della commissione Finanze del Senato, Mario Baldassari, sintetizza così l’effetto della clamorosa entrata a gamba tesa del governo sul cosiddetto ddl anti cartelle pazze. Un provvedimento legislativo che, una volta tanto, avrebbe introdotto un principio di civiltà giuridica a difesa del contribuente.
La doccia fredda è arrivata ieri mattina, quando i senatori della commissione, dopo aver votato all’unanimità il testo e deciso, sempre all’unanimità, di chiedere la sede deliberante, ovvero la possibilità di approvare il disegno di legge senza passare dal voto dell’aula, si aspettavano un tranquillo e scontato via libera dalla presidenza del Senato. Tanto più che i lavori parlamentari si sono svolti sempre in stretta collaborazione con rappresentanti dell’Agenzia delle Entrate e con il sottosegretario dell’Economia, Vieri Ceriani. L’autorizzazione alla deliberante, in effetti, è arrivata. Ma con una piccola condizione. Un vincolo chiesto dal governo che di fatto rende carta straccia l’intero provvedimento.
Ma partiamo dall’inizio. Il testo votato in commissione è semplice e diretto, come forse dovrebbero essere tutte le leggi: un articolo, 8 commi. L’obiettivo è quello di rafforza il meccanismo dell’autotutela del contribuente nei confronti degli errori del fisco. Il provvedimento prevede che in presenza di un atto di riscossione o di una procedura cautelare o esecutiva per i quali sia già stato effettuato il pagamento, siano scaduti i termini della prescrizione, ci sia stata una sospensione o uno sgravio da parte dell’ente creditore o sia intervenuta qualsiasi altra causa di non esigibilità della somma richiesta, il cittadino possa presentare ad Equitalia una dichiarazione per chiedere l’annullamento dell’atto. In mancanza di risposta, passati 220 giorni dall’invio della comunicazione da parte del contribuente, la società di riscossione deve «sospendere immediatamente ogni ulteriore iniziativa». La cartella pazza, insomma, decade automaticamente.
Ed ecco la clausola chiesta dal governo. Il ministro per i Rapporti col parlamento pretende l’inserimento nel testo della possibilità per Equitalia, eccetto il caso di nullità all’origine della cartella pazza, di «reiscrivere a ruolo le somme già discaricate a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione». Insomma, non bastava il periodo, non breve, di 220 giorni a tutela dell’amministrazione tributaria. Il fisco vuole avere il diritto di rispedire comunque l’atto di riscossione, magari illegittimo, al malcapitato contribuente fino alla scadenza dei termini. Come dice Baldassarri, «libertà di non rispondere, licenza di vessare».
La postilla, come appare evidente, snatura completamente l’impianto del testo. E la commissione Finanze, che sulla norma è stata compatta come poche volte accade, ha già fatto capire che non accetterà compromessi. La decisione sarà presa la prossima settimana. In serata il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha corretto il tiro definendo la condizione posta un semplice «suggerimento tecnico, migliorativo, ma non vincolante». Così non è sembrato, però, ai senatori della commissione Finanze, che per ora sembrano intenzionati a rinunciare alla deliberante. Il che significa, considerati i tempi strettissimi e il livello di ingolfamento del Senato, che possiamo dire addio alla legge. A saltare, insieme all’annullamento delle cartelle pazze, sarebbe anche la norma che introduceva quattro mesi di preavviso per le ganasce fiscali. L’ultimo comma del ddl prevede infatti che «in tutti i casi di riscossione coattiva di debiti fino a mille euro» il fisco non possa procedere ad alcuna azione cautelare prima «del decorso di centoventi giorni dall’invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione» sulle iscrizioni a ruolo.
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