Potrebbero tagliare i 20 milioni che spendono ogni anno per farsi rimborsare anche i biglietti di auguri, oppure i 111 milioni degli stipendi del personale politico o i 94,7 milioni delle indennità degli amministratori. Ad Agrigento potrebbero restituire qualcuna delle 40 palme da 150 euro l’una acquistate, sembra, per abbellire il giardino di casa del presidente, a Reggio Calabria il pianoforte a coda da 120mila euro, mentre a Bolzano, forse, potrebbero evitare di fare una nuova edizione del torneo di beach volley costato 2.400 euro.
Invece no. A saltare, se i soldi per finanziare gli 11 miliardi di euro spesi ogni anno scarseggeranno, saranno i riscaldamenti delle scuole. È questa la singolare minaccia, soprattutto dopo le vicende emerse nelle scorse settimane sui costi della politica, lanciata dalle province italiane per protestare contro i tagli del governo.
A poco più di una settimana dal decreto del governo sul riordino degli enti, l’Upi ha riunito a Roma Direttivo e Assemblea ed è passata al contrattacco. Il neopresidente Antonio Saitta, da ieri al vertice dell’associazione dopo le dimissioni di Giuseppe Castiglione dalla Provincia di Catania, ha voluto subito mostrare i muscoli proponendo una «battaglia in difesa delle istituzioni democratiche», accusando il governo di «fare il gioco delle tre carte» e annunciando il ricorso al Tar di tutte le province. Ma il piatto forte è la notizia che gli enti non potranno più garantire i servizi sui territori, a partire dall’accensione dei riscaldamenti nelle scuole. Il che provocherà anche un aumento del periodo delle vacanze per gli studenti. Ricordiamo, per dovere di cronaca, che non si tratta di bambini, considerato che la competenza provinciale riguarda l’istruzione secondaria di secondo livello, in altre parole licei e istituti tecnici e professionali. Ma la cosa fa comunque un po’ di impressione. Ci si immagina subito quei poveri ragazzi, infreddoliti, in classe con sciarpa e cappello. Salvo poi apprendere dal presidente dell’Anci, Graziano Delrio che «molti Comuni stanno già abbassando il riscaldamento sia negli uffici comunali che nelle scuole». Insomma, l’austerity siberiana è già una realtà.
Oggetto del contendere, prima ancora degli accorpamenti, è la sforbiciata «insopportabile» da 500 milioni per il 2012 e da 1,2 miliardi per il 2013 prevista dalla legge di stabilità. Un taglio su cui il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, dopo un vertice nel pomeriggio, si è mostrato irremovibile. Un cambiamento è «inimmaginabile», c’è solo, ha riferito Saitta, l’impegno del governo «ad avviare un tavolo tecnico per vedere, nella legge di stabilita, se è possibile qualche modifica per il 2013».
Le parole del neo presidente dell’Upi hanno comunque fatto salire la tensione alle stelle. Il ministro della Pa, Filippo Patroni Griffi, ha auspicato «un comportamento più consono all’istituzione che rappresenta». Secca la risposta di Saitta: «Chiediamo solo rispetto. Non siamo una lobby economica, siamo un pezzo elettivo dello Stato e chiediamo rispetto». Più tardi il Dipartimento delle Riforme istituzionali ha precisato che il ministro «non si riferiva alla questione delle riduzioni di spesa che è ben distinta dalla vicenda del riordino delle Province».
Al termine della giornata, comunque, l’atmosfera non è cambiata. Il presidente dell’Upi ha anzi fatto sapere che chiederà al Csm e alla Corte dei Conti se «le province devono rispettare i programmi per il controllo nelle scuole o se invece devono dare retta ai tagli imposti dal governo». Ma già per giovedì prossimo è stato convocato un Ufficio direttivo ad hoc per «studiare le modalità dell’annunciato taglio ai servizi».
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