martedì 20 novembre 2012

Ecco come difendersi dal nuovo redditometro

Scontrini, fatture, ricevute, rendiconti bancari, bollette, schede carburante, libretti degli assegni e anche, perché no, la letterina a Babbo Natale dei vostri figli. Da oggi, più documenti conservate per più tempo possibile e meglio è. Attilio Befera continua a parlare di prevenzione e di compliance, ovvero di strumenti per aiutare il cittadino ad assolvere correttamente e facilmente gli obblighi fiscali.

In effetti, il redditest, che è stato illustrato ieri sera in anteprima alle associazioni di categorie e oggi sarà presentato ufficialmente, è uno strumento di autodiagnosi della propria coerenza fiscale. Andando sul sito dell'Agenzia delle entrate i contribuenti potranno verificare comodamente on line la “congruità” della loro dichiarazione con le stime del fisco calcolate a partire dagli 80 nuovi indicatori di reddito distribuiti in 7 categorie. Se il risultato del test sarà una luce verde c'è la prova della congruità, altrimenti si accende un semaforo rosso, segno di una discrepanza tra reddito e tenore di vita. Una spia che indica a rivedere bene la propria dichiarazione.

Ed è qui che si apre la seconda fase. Il redditest altro non è, infatti, che il redditometro. Ovvero lo stesso strumento che gli ispettori utilizzeranno sul campo per avviare gli accertamenti sintetici del reddito. Dove sintetico sta per presunto. In altre parole, partendo da alcune voci di spesa e dalla composizione del patrimonio un software calcolerà qual è il reddito compatibile e, di conseguenza, il volume di imposte che dovreste versare allo Stato.

Se la somma complessiva dei tributi da pagare si discosterà di oltre il 20% da quella che avete comunicato al fisco saranno dolori. Per evitare di far partire l'accertamento esecutivo, che dopo 60 giorni si trasforma direttamente in cartella esattoriale senza passare dal via, dovrete presentarvi all'Agenzia delle Entrate ed inondare il funzionario di turno di documentazione che attesta il contrario. Si tratta di quel simpatico principio chiamato inversione dell'onere della prova, in base al quale, in barba a qualsiasi principio di civilità giuridica, spetta al malcapitato dimostrare l'inesattezza delle ipotesi accusatorie.

Nasce da qui l'esigenza di conservare più o meno tutto per almeno cinque anni, che è il termine di prescrizione per la maggior parte dei tributi. Particolare attenzione deve sicuramente andare alle attestazioni di spesa: dalle ricevute fiscali, alle fatture, dagli scontrini alle quietanze. Ma col nuovo redditometro, al di là di quello che si potrebbe pensare, non sono i consumi a dover essere tenuti sotto stretta sorveglianza. Nessuno vi contesterà l'acquisto di un televisore o di un'auto, ma la provenienza dei denari utilizzati. Le insidie maggiori, come spiega il coordinatore dell'ufficio studi del Consiglio nazionale dei commercialisti e direttore di Eutekne.info, Enrico Zanetti, «arrivano dalle entrate e da tutte le movimentazioni finanziarie che avvengono all'interno del nucleo famigliare. È questa la documentazione che potrebbe fare la differenza nel caso di un contraddittorio con il fisco». Si tratta, in sostanza, di tenere una vera e propria contabilità personale e casalinga, che tenga conto di tutti i flussi di denaro in entrata e in uscita, soprattutto se non direttamente legati a consumi. Prestiti, regali fatti, regali ricevuti, somme vinte o spese al gioco, soldi in qualsiasi modo passati dalle vostre tasche indipendentemente dallo stipendio e dagli acquisti. Il che, come è facile intuire, crea non pochi problemi. Non solo bisognerebbe, infatti, annotare cose ridicole come la paghetta dei figli o la somma sborsata per organizzare una cena nella propria casa, ma anche spese che uno, per un motivo o per l'altro, vuole magari evitare di condividere con l'intero nucleo famigliare. In quel caso si dovrà dunque tenere una contabilità ufficiale e una separata, sempre per cinque anni, da tirare fuori in caso di accertamenti.

Del resto, per potere superare indenni il redditometro sui beni o le spese al centro dei controlli è necessario prima di tutto documentare la capacità del soggetto di acquistare e mantenere i beni nel periodo di imposta oggetto di accertamento con reddito già tassato in passato o che risulta esente da tassazione. Vanno dunque annotate, in generale, tutte le entrate ottenute legittimamente, ma su cui non c'è alcun obbligo di dichiarazione al fisco. Come ad esempio le plusvalenze ottenute dalla vendita di una casa posseduta da più di cinque anni, che non vanno a costituire base imponibile ma possono essere una fonte di liquidità da spendere per acquisti di beni e servizi.

Un altro accorgimento per evitare inutili noie è quello di dilazionare tutto ciò che è dilazionabile, anche se si hanno le risorse economiche per sostenere l'impegno finanziario tutto in una volta. Acquistare un'auto da 30mila euro comporterebbe infatti, secondo il fisco, la sussistenza di una adeguata capacità di reddito, anche se le somme fossero il frutto di decennali risparmi o se il contribuente avesse intenzione di restare a pane e acqua per gli anni successivi. Nessun problema ci sarebbe invece per un acquisto a rate, che andrebbe a pesare sul redditometro solo per la quota di soldi effettivamente sborsata per ciascun anno. Stesso discorso, ovviamente, vale per beni di un certo valore, dalla casa fino alle imbarcazioni, ma potrebbe far comodo dilazionare anche il pagamento di un televisore o delle vacanze estive.

Fatica sprecata è, invece, quella di utilizzare il più possibile denaro contante. Intanto, il salva Italia dello scorso dicembre ha abbassato la soglia dei pagamenti cash, prevedendo solo transazioni elettroniche o mediante assegni per tutte le operazioni sopra i mille euro. Poi, con l'avvio del grande fratello fiscale, che farà confluire nell'anagrafe tributaria tutti i movimenti bancari, compresi gli eventuali prelievi, le somme sarebbero facilmente oggetto delle attenzioni dell'erario. Anzi, probabilmente insospettirebbero ancor di più gli ispettori del fisco.

© Libero