Meno flessibilità in entrata, poche modifiche a quella in uscita e stallo normativo sugli ammortizzatori sociali. A circa cinque mesi dall’approvazione definitiva, gli effetti della riforma Fornero iniziano a farsi sentire. E i timori di chi prevedeva un impatto negativo sul mondo del lavoro si stanno purtroppo rivelando fondati.
Se con la riforma, si legge in un rapporto congiunto di Assolombarda e Unione industriali di Torino, «si pensava di creare posti a tempo indeterminato per legge, inducendo le imprese a trasformare i contratti flessibili, questo scopo non può dirsi raggiunto». Dal sondaggio effettuato dalle associazioni imprenditoriali è infatti emerso che gli effetti principali sono stati un aumento dei costi e lo spostamento verso altre forme contrattuali a tempo determinato. In sostanza, le imprese stanno adeguando «la gestione della flessibilità tenendo conto delle nuove regole che sono percepite come restrittive, con un irrigidimento del mercato del lavoro».
A soffrire di più, ovviamente, sono le piccole aziende, che, secondo quanto denuncia il presidente di Confartigianato Marca Trevigiana, hanno dovuto praticamente dimezzare il ricorso ai contratti a chiamata. Tipologie a cui spesso è legata la sopravvivenza imprenditoriale in settori come il turismo, la ristorazione, i servizi alla persona e l’autotrasporto. Accanto ai danni provocati dalle nuove rigidità per le assunzioni a tempo, ha denunciato Pozza, ancora non si vede «alcun provvedimento attuativo di quanto previsto dalla riforma sugli ammortizzatori sociali per i dipendenti della piccola impresa». Con il risultato di lasciare senza alcuna rete di protezione, solo nel Veneto, oltre 150 mila dipendenti.
La stretta sull’occupazione è certificata anche dal consueto rapporto Excelsior di Unioncamere. Rispetto alle circa 600mila assunzione previste nel 2011, la quota quest’anno è scesa a 400mila, con un taglio netto di 200mila posti di lavoro. Nulla, poi, è stato fatto a livello legislativo per risolvere i problemi legati al mancato incrocio di domanda e offerta. Malgrado la crisi occupazionale, infatti, ci sono ancora 65mila posti di lavoro (il 16% del totale) che rischia di restare vacante per mancanza di candidati. Impressionante il dato sui laureati. Dei quasi 59mila profili che le imprese stanno cercando uno su 5 è considerato introvabile. Ma le difficoltà di reperimento riguardano anche livelli più basse di formazione, come i termoidraulici, gli estetisti o i banconieri di tavola calda. In Trentino, ad esempio, sembra sia impossibile trovare un cameriere. Lavoro che per un giovane potrebbe, invece, fare la differenza. Ieri, infatti, sulla base di un protocollo firmato con il governo, che potrebbe essere esteso anche ad altre aziende, Finmeccanica ha stabilito che, a partità di percorso accademico, nelle società del gruppo sarà favorito l’inserimento di chi ha già fatto un’esperienza lavorativa, di qualsiasi tipo.
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