Le due partite non potrebbero essere più diverse e lontane fra loro, ma alla fine sempre lì si arriva. Si tratti di ridisegnare gli equilibri in Mediobanca dopo l’uscita di scena di Cesare Geronzi o di difendere Parmalat, i nodi da sciogliere parlano la stessa lingua, quella inconfondibile dei cugini d’Oltralpe. Sul primo fronte, dopo la soluzione lampo del caso Generali, con la nomina plebiscitaria del presidente di “garanzia” Gabriele Galateri di Genola, i riflettori sono tutti puntati su Piazzetta Cuccia, che martedì prossimo riunirà il cda. E tutte le ipotesi sul tavolo portano dritte ad un ridimensionamento dei soci francesi capitanati da Vincent Bollorè e Tarak Ben Ammar.
Gli sherpa sono già al lavoro per districare una matassa che si preannuncia assai ingarbugliata. Sul campo ci sono le truppe di Fabrizio Palenzona, che oltre all’8,6% detenuto da Unicredit in Mediobanca può ormai contare anche sull’3,83% in mano ai Ligresti e sul 2% detenuto dalle stesse Generali. Al suo fianco ci sarebbero poi tutte le partecipazioni minori, dai Pesenti, ai Benetton fino a Della Valle. Dall’altra parte, i francesi possono contare su una potenza di fuoco di circa l’11%, che sale al 13 se si calcolano le azioni fuori dal Patto di Groupama e aumenta ulteriormente se si considera l’appoggio, che appare scontato, della Mediolanum di Doris (3%) e della Fininvest di Berlusconi (1%).
Insomma, le scintille per arrivare al nuovo patto (che oggi controlla il 44% del capitale) non mancheranno. Ad osservare con attenzione il dispiegarsi degli eventi c’è anche Giulio Tremonti, che con la terra di Francia ha in piedi un’altra partita, quella relativa al caso Lactalis-Parmalat. Per alzare il muro contro i francesi il ministro dell’Economia ha deciso di accelerare la pratica del nuovo fondo sovrano che, capitanato dalla Cdp, si precipiterà in soccorso delle aziende italiane troppo vulnerabili. Stando ad alcune fonti di Via XX settembre, citate ieri da Repubblica, la dotazione del nuovo strumento per le operazioni anti-Opa sarà di circa 20 miliardi. Una cifra che non stupisce considerata l’ingente liquidità del principale azionista.
La Cassa dovrebbe approvare le necessarie modifiche statutarie nel corso dell’assemblea straordinaria di domani. Poi, si partirà con l’ingresso anche di altri soggetti. Si parla di Fintecna, dell’Inps e di altre casse previdenziali, ma anche, ed ecco la notizia, di fondi stranieri. Una notizia confermata ieri dallo stesso Tremonti al termine del vertice Ecofin in Ungheria. Il fondo «sarà aperto ai privati e agli stranieri», ha spiegato il ministro non smentendo le voci secondo cui tra gli interessati all’investimento ci sarebbero anche fondi cinesi. Esagerata è invece, secondo Tremonti, la cifra circolata relativa alle munizioni che avrebbe a disposizione il nuovo strumento. «Forse», ha detto, «ha influito l’assonanza con la dotazione dell’Fsi francese», a cui il fondo italiano si ispirerà per evitare obiezioni da parte della Ue. Su questo versante, Tremonti ha già tenuto una riunione con il commissario europeo Barnier a cui ha assicurato che «l’Italia rispetterà le regole».
Una cosa è certa. Le Fondazioni bancarie parteciperanno al fondo attraverso la partecipazione del 30% nella Cdp, ma questo sarà lunico legame col mondo del credito. Di sicuro, ha detto il ministro, «non ci sarà un fondo per salvare le banche». Anche perché «il settore è solido» e «anzi sta giocando d’anticipo nella tempistica di Basilea3» rafforzando il capitale attraverso gli aumenti annunciati in questi giorni dai principali istituti.
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