giovedì 21 aprile 2011

I fondi per la cultura? Ci sono, ma vengono buttati

È difficile ricordare quante volte Giulio Tremonti sia stato accusato di aver tagliato i fondi della cultura. Quando il ministro si è permesso di scherzare sull’argomento dicendo “di cultura non si vive, vado a farmi un panino alla cultura” si scatenò il finimondo. Artisti in rivolta, intellettuali sul piede di guerra, direttori d’orchestra indignati che improvvisano comizi durante le prime della Scala. Tutti lì, pronti a puntare il dito sulle nefandezze del governo degli zotici che si fa beffe del patrimonio culturale italiano.

Ebbene, la notizia è che i soldi ci sono, e sono pure tanti. Solo che i burocrati del ministero non riescono a spenderli. Per avere un’idea, nel 2010 a fronte di una disponibilità complessiva di 991 milioni, il dicastero dei Beni culturali ne ha spesi solo 446, lasciandone in cassa ben 545, il 55%.
Colpa del terribile Sandro Bondi? Macché, la storia va avanti da decenni, con percentuali che oscillano dal 45% di risorse inutilizzate dal ministro Giovanna Melandri nel 1999, durante il governo D’Alema, al 52% di giacenze rimaste nelle casse di Francesco Rutelli nel 2007, sotto l’esecutivo guidato da Romano Prodi. Un mal comune senza gaudio, vista la situazione in cui versa il nostro patrimonio archeologico, museale e artistico. I dati surreali sulla gestione delle risorse dei Beni culturali sono spuntati fuori qualche mese fa in una circolare, diffusa dal quotidiano Avvenire (e ripresa ieri dal Sole 24 Ore), del direttore generale del ministero Mario Guarany e sono ora sul tavolo del neo ministro Giancarlo Galan.

Il quale, non a caso, solo pochi giorni fa ha cambiato musica rispetto ai suoi predecessori sostenendo che «i soldi ci sono, ma devono essere investiti meglio». L’impresa non è facile. Le percentuali di utilizzo dei fondi sono impressionanti. Si va dal 37% dei Beni archeologici e paesaggio al 69% delle Soprintendenze, fino al 39% delle Direzioni regionali e al 50% degli Archivi. Non mancano situazioni da record dove i soldi che restano in pancia al ministero raggiungono picchi dell’80%. È il caso della Soprintendenza archeologica di Roma e dell’Archivio centrale di Stato. Ma anche il Polo museale veneziano, con il 78,5% di fondi non spesi, si difende, così come la Biblioteca nazionale di Firenze, che in cassa ha circa il 70% delle risorse a sua disposizione.

Il meccanismo kafkiano che genera tali follie risponde al nome di “contabilità speciali”. Si tratta di oltre 300 mini-bilanci separati che vengono controllati direttamente dai dirigenti del dicastero senza passare per il ministro o per i sottosegretari, come prevede la separazione che risale agli anni Novanta tra funzione di indirizzo e funzione di gestione.
E qui torna il panino di Tremonti. Sulla dissennata gestione delle risorse dei Beni culturali, infatti, incombe la nuova legge di contabilità dello Stato, che prevede “il definanziamento delle leggi di spesa totalmente non utilizzate negli ultimi tre anni”. Altro che tagli, se Galan non ci mette una pezza il ministero si troverà senza più un quattrino.

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