I trattati europei vanno riscritti, ma non cancellati. È un Giulio Tremonti che gioca, come spesso accade, sul filo delle parole, quello che si è presentato a Bruxelles per illustrare all’Europarlamento la sua ricetta per uscire dalla crisi. E il piatto forte, secondo il ministro dell’Economia non nuovo alle proposte clamorose, è quello di sottoporre le regole di Eurolandia ad un serrato tagliando per verificare se sono ancora in grado di risolvere i problemi che si presentano.
Una minaccia? Macché. Il ministro non accetta l’etichetta di euroscettico. C’è chi dice che «questo non è poi un così brutto posto» osserva chiudendo il suo intervento davanti alla commissione affari costituzionali del Parlamento Ue: «È un’opinione che condivido». E per evitare fraintendimenti sentirà poi anche il bisogno di spiegarsi meglio, precisando che nel rispondere alla domanda dell’europarlamentare inglese Daf che «auspicava più Europa e quindi una nuovo convenzione» lui ha «risposto che era una ipotesi da prendere in considerazione». Ma dare vita a una nuova convenzione, ha aggiunto, è «una prospettiva di rafforzamento» dell'Europa che è «esattamente l'opposto rispetto all’uscita dai trattati. Mi spiace davvero che un’agenzia romana abbia deformato e invertito il senso della mia risposta alla europarlamentare inglese».
Ma al di là del tentativo di smorzare i toni e gettare acqua sul fuoco, a Bruxelles si è presentato un Tremonti insolitamente critico nei confronti delle istituzioni europee. Basti pensare alla battuta «missing in action» con cui ha definito la reazione dell’Europa davanti all’emergenza immigrazione e all’indata di rivolte che sta investendo i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo.
Quanto ai trattati, forse non vorrà stracciarli, ma quando parla di «stress test» sulla capacità di rispondere alle tre grandi crisi del momento, quella economica, quella geopolitica e quella atomica, il messaggio è chiaro. Il termine è molto in voga tra le autorità europee e nei fatti consiste in un esame serrato della forza di resistenza degli istituti di credito ad eventi shock come quelli che hanno messo in ginocchio le principali banche del Vecchio Continente. Lo stesso esame a cui Tremonti vorrebbe sottoporre gli evidentemente inadeguati trattati. Perché «il sogno europeo» può essere portato avanti, spiega, ma solo «a certe condizioni».
Sull’economia il ministro si limita a «sperare» che le misure messe in atto siano la risposta giusta. Ma già sull’immigrazione, pur in presenza, nelle carte fondanti dell’Unione, di principi adeguati, la loro applicazione si è rivelata «drammaticamente, totalmente insufficiente». Insufficiente sono, infine, gli strumenti per affrontare un tema, come quello dell’energia atomica, che ha «benefici locali e malefici globali». Ed è quindi più che opportuna una «riflessione» su costi e benefici, ma anche l’idea di ricorrere a eurobond per finanziare la ricerca sulle energie alternativa attraverso un’applicazione aggiornata del piano Delors.
Tutto ciò vuol dire che bisogna uscire dall’Europa? Sia mai, risponde Tremonti, ma può essere il caso di «cogliere il momento» per avviare una «più intensa convenzione» per un nuovo trattato, poiché quelli di oggi «sono stati adattati, ma restano «il prodotto di un mondo passato». Vecchie, inefficaci e inapplicabili. Tremonti sarà pure europeista, ma il giudizio non sembra dei migliori.
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