O si pone il segreto di Stato o i documenti si lasciano consultare in maniera integrale e trasparente. La questione posta da Renato Brunetta non è bizzarra. Semplicemente non considera la terza via. Quella scelta da Pier Carlo Padoan, che si è presentato alla Commissione d’inchiesta sulle banche con un carteggio sulla gestione dei contratti derivati a copertura del rischio tassi sul debito pubblico da parte del Tesoro definito «di natura riservata». Un aggettivo utilizzato probabilmente per gettare fumo negli occhi. Già, perché il carteggio, stando quanto riferito dal capogruppo di Forza Italia, che di economia un pochino ne capisce avendo insegnato la materia per anni a Venezia e Roma, contiene informazioni non solo non riservate, ma del tutto inutili. «Il Mef», ha denunciato Brunetta, «ha inviato 153 pagine in totale di cui 148 di un documento pubblico Mef alla Corte dei conti e 3 pagine incomprensibili senza spiegazione o didascalia. Si tratta di un’offesa alla commissione».
Al di là dell’offesa, resta il sospetto che il governo non abbia alcun interesse a mettere in piazza i dettagli di manovre finanziarie che ogni anno drenano montagne di soldi pubblici e su cui più volte la Corte dei Conti ha puntato i riflettori. I grandi numeri si conoscono. E fanno impressione. Al 31 dicembre 2016 il Tesoro aveva derivati in essere su 145,9 miliardi di titoli sovrani, in calo rispetto ai 153,8 di fine 2015. Il mark to market negativo dell’intero portafoglio, cioè il costo che lo Stato avrebbe dovuto sostenere se avesse chiuso tutte le posizioni in quel momento, era pari a 38,3 miliardi dai 37,1 di un anno prima. Lo scorso anno i derivati hanno avuto sul bilancio pubblico italiano un impatto negativo di oltre 8 miliardi, secondo le statistiche di Eurostat. Gli esborsi ammontano a 4,25 miliardi ma, considerando anche gli aggiustamenti contabili che incidono sul debito pubblico, il totale sale a 8,324 miliardi. Resta, però, da capire se questi quattrini bruciati ogni anno siano il frutto di una gestione oculata dei contratti derivati. La Corte dei Conti qualche dubbio lo ha, tanto che lo scorso luglio ha citato in giudizio la Morgan Stanley e i vertici del Tesoro per danno erariale in relazione alla sottoscrizione di alcune clausole dei contratti derivati sottoscritti con la banca Usa che nel 2011 e nel 2012 hanno costretto lo Stato a sborsare 3 miliardi per chiudere alcune posizioni. Proprio a questa vicenda si riferiscono le carte «incomprensibili» di Padoan, il quale, però, ha parlato di un «primo riscontro», spiegando che saranno forniti altri documenti, tra cui i costi delle transazioni pagati alle banche dal Tesoro. Aspettiamo fiduciosi.
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