La settimana in commissione banche si preannuncia rovente. Ma chi sarà sui carboni ardenti, più che Maria Elena Boschi, sarà Matteo Renzi. Il premier ha ormai chiaro lo scenario che si è creato nelle stanze di Palazzo San Macuto, dove nel tritacarne invece dei potenziali responsabili dei crac bancari, manager e vigilanti, alla fine è scivolato proprio lui, con il suo Giglio Magico. «Chiedo al gruppo dirigente di smetterla di costruire trappole dove poi sistematicamente cadiamo dentro», ha detto ieri il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Non occorre essere un fine politologo per capire il senso della frase.
Renzi pensava che l’organismo bicamerale d’inchiesta avrebbe prodotto un duplice risultato: da una parte oscurare il disastro dell’intervento governativo su Etruria & C con il ben più pesante terremoto, anche per le tasche dei contribuenti, provocato dal salvataggio di Stato di Mps e delle banche venete, dall’altra consentire all’opinione pubblica di individuare una sorta di agnello sacrificale, un bersaglio su cui scaricare la propria rabbia e le proprie frustrazioni. In questo quadro, Matteo Renzi si sarebbe riproposto come il grande paladino dei risparmiatori traditi contro la casta del sistema bancario, capeggiata dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco.
La strategia era chiara fin da quando l’ex premier, con il suo treno elettorale, ha iniziato a fare tappa in tutte le principali località travolte dai crac bancari, facendosi immancabilmente ritrarre con l’associazione dei rispamiatori di turno. La sortita, al limite dello strappo istituzionale, contro la riconferma del governatore di Bankitalia, era un altro tassello del piano. La cui riuscita era, però, affidata ai lavori della commissione d’inchiesta. E qui, all’inizio, le cose sembravano funzionare alla grande.
Il clamoroso scaricabarile a distanza tra Consob e Bankitalia, andato in scena un paio di settimane fa a Palazzo San Macuto sembrava perfetto per dimostrare, se non la responsabilità, almeno l’inadeguatezza delle istituzioni che avrebbero dovuto controllare e, ove possibile, prevenire il cataclisma che si è abbattuto sul sistema bancario.
Ma Renzi doveva considerare che non tutti sono disposti a farsi cuocere a fuoco lento. A Giuseppe Vegas è bastato un guizzo per uscire dall’angolo e indirizzare altrove il fiume di fango che scorre minaccioso accanto alla commissione fin dai primi giorni. Poche parole è l’asse delle polemiche, della furia giacobina, dell’indignazione anticasta si è completamente ribaltato.
Da quando il presidente della Consob ha riferito dell’incontro con la Boschi per discutere delle sorti di Banca Etruria nessuno si ricorda più di Gianni Zonin, che solo un paio di giorni fa si è recato in commissione fingendo di essere poco più di un passante nella banca che ha dominato per 19 con il risultato che tutti conosciamo. E nessuno ha più memoria neppure dell’indecoroso battibecco tra le due authority, entrambe impegnate a dimostrare che l’altra aveva fatto peggio.
L’attenzione spasmodica per gli incontri “proibiti” della Boschi rischia ora di far passare sotto traccia pure le audizioni di pezzi da novanta come il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che sfilerà domani, e lo stesso Visco, previsto per martedì. Tutti i riflettori sono puntati sul giorno successivo, quando arriverà finalmente l’ex ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, considerato ormai una sorta di “gola profonda”. Il manager, probabilmente, confermerà la versione già anticipata dalla Boschi, di incontri e chiacchiere senza importanza. Qualsiasi cosa dirà, la trappola è già scattata. E dentro non c’è né Visco, né i banchieri che hanno mandato i risparmiatori sul lastrico.
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