sabato 9 dicembre 2017

Londra si stacca dall'Europa. Gentiloni invece ci si attacca

L’Europa è morta. Viva l’Europa. Paolo Gentiloni ha voluto scegliere il giorno in cui l’accordo sulla Brexit ha preso ufficialmente il volo per celebrare le magnifiche sorti e progressive dell’Unione. La stessa Unione da cui Londra non vede l’ora di fuggire a gambe levate, anche a costo di pagare 40-45 miliardi di euro al Vecchio Continente e di lasciare i suoi tribunali sotto la giurisdizione della Corte di Giustizia Ue per altri otto anni. Un piccolo prezzo per la libertà economica, commerciale e politica, a cui tra l’altro la Gran Bretagna non ha mai rinunciato completamente.

Di fronte a tanta voglia di dire basta, il governo italiano, archiviata rapidamente la fase polemista di Matteo Renzi, non sa far altro che unirsi al coro degli euroburocrati e ripetere la stessa litania: serve più Unione e più Europa. Come se non bastasse quella che già ci costringe a soffocare le nostre imprese e a spremere i contribuenti.
Ma l’aria, secondo Gentiloni è cambiata. «Crescita economica, risultati politici, hanno riportato un’atmosfera diversa in Ue, più ottimismo e slancio», aggiungendo che «Brexit non ha dato l’avvio ad una marcia trionfale per chi ha sostenuto il “leave”, anzi ha aperto una pagina complicata».
Di sicuro non complicata come quella dell’Italia, che dopo aver tuonato per mesi contro la nuova stretta contenuta nella riforma della governance europea, ora sembra pronta ad ingoiarla senza fiatare. Con tutte le incognite legate al superministro Ue, al Fondo monetario e al fiscal compact inserito nei trattati comunitari, che costringerà l’Italia a subire la tagliola sul debito pubblico finché l’Europa resterà in vita e a lasciare che le proprie manovre di bilancio siano scritte sotto dettatura di Bruxelles. Uno scenario non proprio incoraggiante se si considera che solo qualche mese fa c’era chi, come Matteo Renzi, proponeva addirittura di allentare il patto di stabilità, minacciando il veto dell’Italia contro la blindatura del fiscal compact. Ma tant’è. «La prima sfida sarà quella relativa all’unione monetaria», ha spiegato il premier Gentiloni, «renderla più solida è il passo principale per rendere più solida l’Unione europea. Le proposte avanzate dalla Commissione le considero una buona base di partenza».

Sul versante opposto c’è una Theresa May raggiante per l’accordo raggiunto in zona Cesarini. I negoziatori hanno lavorato l’intera notte per trovare un accordo prima di domani, che era la deadline fissata per consentire al Consiglio Ue di valutare l’ intesa nel vertice in programma il 14 e 15 dicembre. Raggiunto il compromesso sulle linee guida, la premier britannica si è recata a Bruxelles di prima mattina per annunciare insieme al presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, il risultato raggiunto.
Negli ultimi giorni lo scoglio era stato quello della frontiera fra l'Irlanda, che resterà nell’Ue, e la regione britannica dell’Irlanda del Nord, che invece dovrà uscirne. Lunedì l’intesa sulla Brexit era saltata, mentre May era a Bruxelles per incontrare Juncker, a causa del veto imposto dell’alleato di governo Dup, il partito unionista nordirlandese fondamentale per mantenere in piedi il governo, che non aveva accettato l’intesa raggiunta con Dublino, che prevedeva di fatto di mantenere in Irlanda del Nord regole simili a quelle del mercato unico e dell’unione doganale.
Nella fase due dei colloqui, bisognerà occuparsi dei futuri rapporti commerciali e dei cosiddetti due anni di transizione, che cominceranno dopo l’uscita ufficiale dall’Ue, prevista per il 29 marzo del 2019.

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