venerdì 8 dicembre 2017

Il verdetto su Mussari conferma che i controlli non funzionano

Bankitalia ha fatto sapere ufficiosamente che «in base alla formula utilizzata possiamo presumere che la corte considera esistenti i fatti, ma ritiene al tempo stesso che non costituiscano illecito penale». Una precisazione tautologica, quasi banale. Dietro la quale, però, c’è tutta la preoccupazione di Via Nazionale di finire nuovamente trascinata nel polverone delle polemiche.

Il ragionamento che stanno facendo in questo momento a Palazzo Koch non è una valutazione tecnica. E neanche giuridica. È semplicemente logica e buon senso. La Banca d’Italia si era costituita  parte civile (l’unica) al processo contro Mussari, Vigni e Baldassarri, ritenendo di essere stata danneggiata dall’occultamento di documenti che hanno impedito di svolgere la funzione di controllo propria dell’autorità.
Se dal processo emerge che gli ex vertici non hanno nascosto alla vigilanza nulla di rilevante, la conclusione è scontata e ineludibile: pur essendo in possesso di tutte le informazioni necessarie, la Banca d’Italia non è stata in grado di prevenire il dissesto dell’istituto senese.
Uno scenario simile, del resto, potrebbe riproporsi anche Milano, dove i giudici si stanno occupando dell’acquisizione di Antonveneta e delle perdite connesse ai derivati. Nel corso del processo sarebbe, infatti, spuntato un documento della stessa Bankitalia da cui emerge che gli ispettori sapevano dell’operazione in Btp con Deutsche Bank per coprire i 371 milioni di perdita prodotta dal veicolo Santorini fin dal 2010, due anni prima che la procura venisse allertata. Il tema è sempre lo stesso. E riguarda l’efficacia dei controlli. Su cui nelle scorse settimane, anche nella commissione d’inchiesta sulle banche, è emerso più di un dubbio.

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