mercoledì 29 novembre 2017

Governo in bolletta: dimezza il bonus bebè

Dopo giorni di stallo, passati a trattare con le varie componenti della maggioranza e con le stampelle esterne necessarie a mettere in sicurezza il voto sulla manovra al Senato, il governo sembra aver finalmente trovato la quadra. Un risultato ottenuto, ovviamente, aprendo il portafoglio. Ma solo dello stretto necessario.

Due le portate offerte in dono dal premier Paolo Gentiloni ad alleati e compagni di viaggio. La prima, di cui si discute da tempo, riguarda il superticket, l’importo aggiuntivo di 10 euro che i cittadini pagano per prestazioni di diagnostica e specilistica del servizio sanitario. I bersaniani di Mpd chiedevano l’abolizione. È arrivato poco più di un contentino. Rispetto ai 600 e rotti milioni che sarebbe costato l’azzeramento del balzello, l’accordo è stato trovato su un taglio selettivo per tutti i minori che frequentano la scuola dell’obbligo e per le famiglie con Isee fino a 15mila euro. La Commissione Bilancio del Senato ha approvato un emendamento alla manovra, che prevede un contributo statale pari alla metà del costo totale. Lo stanziamento è di 60 milioni l’anno per tre anni.
Il secondo regalo, questa volta offerto ad Ap, è la proroga del bonus bebè. Il beneficio è stato reso strutturale, da gennaio 2019, però, l’assegno mensile passa da 80 a 40 euro. La proposta di modifica, si legge nel testo, costa 165 milioni il primo anno, 195 milioni nel 2019 e 228,5 milioni dal 2020. L’omaggio non è, però, stato gradito fino in fondo. «È sicuramente un fatto positivo la stabilizzazione del bonus bebè in legge di Bilancio, decisamente meno positivo il suo dimezzamento per gli anni 2019 e 2020», ha detto il coordinatore di Ap, Maurizio Lupi, spiegando che nel passaggio alla Camera bisognerà lavorare per «un rifinanziamento totale».
Un amaro in bocca che si è già visto nei giorni scorsi per il reddito d’inclusione, le cui risorse stanziate nella manovra (300 milioni di euro in più l’anno venturo, 700 nel 2019, 900 dal 2020) vengono considerate dagli esperti una specie di mancetta. A regime, infatti, compreso il contributo dei fondi europei e i soldi aggiuntivi della finanziaria, il fondo del ReI arriva a circa 3 miliardi, mentre per rendere efficace la misura ne servirebbero almeno il doppio. Per il resto nella manovra, che oggi dovrebbe arrivare nell’aula del Senato, sono stati distribuiti a pioggia un po’ di soldi, come nelle migliori tradizioni. Dai 2 milioni per il rischio idrogeologico del Tevere ai 20 milioni per il settore avicolo. Dai 4 milioni per gli italiani all’estero fino ai 3 milioni a Isiamed per la promozione del made in Italy digitale. Un drappello bipartisan di senatori veneti è poi riuscito a far passare un fondo da 25 milioni l’anno per il 2018 e 2019 per risarcire i risparmiatori che hanno subito un danno ingiusto in seguito alla violazione degli obblighi di trasoparenza e correttezza in capo alle banche, evidentemente rivolto ad azionisti e obbligazionisti di Veneto Banca e Pop Vicenza.
Intanto fuori da Palazzo Madama, Pier Carlo Padoan si gode i dati, per una volta positivi, dell’Ocse,sperando che gli tirino la volata per la poltrona di presidente dell’Eurogruppo. «Sono dati lusinghieri sull’Italia», ha detto commentando la previsione in rialzo di un pil 2017 a +1,6%, «e siccome l’Ocse sa fare bene il suo mestiere, mi fido delle sue stime».
Partito in sordina, il ministro dell’Economia sembra aver trovato un sostegno forte nella Francia del commissario Ue Pierre Moscovici, che ha rilanciato la sua candidatura. Dopo Draghi e Tajani sono in molti, però, a non volere un altro italiano ai vertici delle istituzioni. A partire dai tedeschi, che per sgambettare Padoan, stanno pensando di chiedere una proroga di sei mesi per l’attuale presidente Jeroen Dijsselbloem. Tempo entro cui il ministro dell’Economia, probabilmente non sarà più tale.


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